FATTI E PERSONE

A Natale 500 mila tonnellate di alimenti (il 30 % delle spese delle famiglie italiane) finiscono nei rifiuti
Un’indagine della Cia mette in evidenza uno spreco di risorse e un danno rilevante per l’ambiente (una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera 4,2 tonnellate di Co2). Frutta, verdura, pane, latticini e carne, i prodotti che più degli altri finiscono nei cassonetti dell’immondizia. Una dissipazione che proprio nelle feste di fine anno raggiunge il suo apice negativo (si getta il 5 per cento del totale).
 
Ogni anno si gettano nei rifiuti 25 milioni di tonnellate di alimenti consumabili. Una cifra che corrisponde alla metà delle importazioni alimentari dell'intera Africa. Circa 18 milioni di tonnellate vengono buttate da case private, negozi, ristoranti, hotel e aziende alimentari. Il resto viene distrutto nel percorso tra le fattorie o i campi e i negozi. E questo ci costa circa 37 miliardi di euro (il 3 per cento del Pil), senza contare lo spreco di risorse e i danni all'ambiente. Un vero schiaffo alla miseria che durante i 15 giorni delle feste di fine d’anno toccherà il suo apice negativo: tra pranzi di Natale e cenoni di Capodanno, per finire con le tavole imbandite per l’Epifania, finiranno nella spazzatura più di 500 mila tonnellate di cibo, circa il 25 per cento della spesa totale alimentare per le festività. Andranno così in fumo 1,5 miliardi di euro. Quasi 80 euro a famiglia. Il tutto frutto di cattive abitudini che, nonostante la crisi economica, continuano, purtroppo, a sussistere. E’ quanto sottolinea la Cia-Confederazione italiana agricoltori che ha compiuto un’indagine  dalla quale si rileva che tra i prodotti più sprecati troviamo il pane, l'ortofrutta (circa il 40 per cento dello spreco), il latte e i formaggi, la carne.
Gli sprechi maggiori -sostiene la Cia- si avranno soprattutto a Natale (cene e pranzi del 24, 25 e 26 dicembre), quando le famiglie italiane getteranno nei cassonetti dell’immondizia una cifra pari a un miliardo di euro, più di 50 euro a famiglia. Tra Capodanno e l’Epifania nella spazzatura troveranno, invece, alloggio più di 165 mila tonnellate di cibo, per un valore, a nucleo familiare, poco meno di 30 euro. In pratica, circa un terzo delle portate preparate per allestire le tavole delle feste finisce nel bidone della spazzatura.
A questi dati -rimarca la Cia- vanno aggiunte le tonnellate di cibo che scade, che non raggiunge le nostre tavole, che viene gettato via da negozi, mense e ristoranti, che rimane nei campi senza neanche essere raccolto.
Dunque, nei giorni delle feste natalizie -evidenzia la Cia- le famiglie italiane gettano nell’immondizia circa il 5 per cento del totale degli sprechi alimentari di un anno. E in questo periodo nella classifica dei prodotti a finire nella spazzatura troviamo al primo posto latticini, uova, carni (39 per cento): a seguire pane (19 per cento), frutta e verdura (17 per cento), pasta (4 per cento della pasta). Percentuali che, al contrario, per dolci risultano assai ridotte (2-3 per cento). Per vini e spumanti lo spreco è quasi nullo.
La Cia ricorda che in un anno ogni famiglia butta 515 euro in alimenti che non consumerà, sprecando circa il 10 per cento della spesa mensile. Una cifra assurda che fotografa un fenomeno in espansione che neanche la difficile congiuntura è riuscita a frenare.
D’altra parte, oltre alla valenza etica ed economica, non bisogna tralasciare -afferma la Cia- l'impatto ambientale del fenomeno: basti pensare che una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera 4,2 tonnellate di Co2.
E in questo impegno dissipatorio siamo in buona compagnia. La “maglia nera” degli spreconi -come evidenziato recentemente dal prof. Andrea Segrè, presidente della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna- spetta agli Stati Uniti, che nel complesso buttano via il 40 per cento degli alimenti prodotti; in Svezia il 25 per cento, in Cina il 16 per cento. In Gran Bretagna si gettano nella spazzatura 6,7 milioni di tonnellate di cibo all´anno. Comunque, dal 1974 ad oggi nel mondo gli sprechi alimentari sono cresciuti del 50 per cento e, purtroppo, continua a crescere. (www.cia.it)