RECENSIONI

Il kamikaze cristiano

di Angelo Tondini Quarenghi – Biblioteca Bietti, settembre 2006 – Pag 448, 20 Euro

Non mi capitava da tanti anni leggere un romanzo di oltre quattrocento pagine in quattro... preamboli al sonno, in pochi giorni...

L’amico di Angelo, Massimo, che era con lui a Kabul, aveva avvisato la platea alla libreria di piazza De Angeli del Touring Club Italiano, che il libro si era lasciato leggere in un fiato, in due notti, ingordamente. Dopo la convincente presentazione, approffittando dell’occasione abbiamo scelto una trattoria di via Marghera, ancora accogliente, che ci ha consentito di ricordare tanti avvenimenti trascorsi insieme nei trent’anni di amicizia, di cui una ventina dedicati ai piaceri della tavola nella delegazione AIC di Milano Internazionale.

Ero rimasto anch’io come Massimo stupito dall’iniziativa di Angelo di scrivere un romanzo, poiché mi aveva abituato oltre che alla presentazione d’immagini dei suoi frequentissimi viaggi anche all’accostamento di appunti ed ispirazioni di poesia insolite su ambienti poco noti, spesso asiatici o comunque nascosti ai poli del mondo.

Angelo, patron di Focus Team, ha un archivio di oltre un milione di diapositive dedicate al turismo ed alla gastronomia, uno dei più rari e specializzati archivi del mondo prima del sopraggiungere dell’era digitale.

E’ giornalista free lance, pubblica servizi per riviste internazionali da Harpers a Geo, da Architectural Digest a Vogue: è amante della libertà, sensibile ai problemi degli individui e delle popolazioni di quasi tutto il mondo, familiare con la semplicità e crudezza della natura e con opere d’arte umane millenarie spesso sparse e disperse o con oggetti di significato e valore anche solo personale. Naif, spontaneo, trasparente. Angelo comunica perfettamente attraverso le immagini, capace di cogliere con la fotocamera non solo ogni aspetto di colore e di sensazioni, ma stati d'animo, trascrivere annotazioni altrettanto colorite di odori e sapori del mondo, dei suoi abitanti, dei suoi paradisi.

Il Kamikaze Cristiano non solo è una novità, ma una sfida, matura ma ricca d’ardore ancora giovanile. Non per nulla i personaggi più comunicativi e simpatici sono quelli che coltivano in se stessi l’anima del bambino. Come un bambino, il progetto di Paolo Vida, fotografo sessantenne, è quello di recarsi a Kabul per farsi esplodere coscientemente in una moschea, per fare riflettere i mussulmani sul significato terrificante del sacrificio di un cristiano a casa loro, in un loro santuario...

L’idea è sufficiente per farne un best seller ed avvincere il lettore nei 27 capitoli che si susseguono come tappe di un girone programmato a rilanciarne ogni volta il significato, l’ansia e la meditazione che la decisione comporta. Gli incontri con il mondo esterno si susseguono in un ambiente dove morte e vita fanno parte di memoria mai persa, come Kabul richiama ad ogni passo.

Donne, uomini, ragazzi, anziani compaiono in ruoli soprattutto amichevoli, indipendentememte dalla razza, origini ed abitudini di vita, di rapporti, d’affetti.

Se certe manifestazioni non si comprendono, esse vengono esplorate e approfondite, non sempre arrivando a darne una risposta finale. Dio e le religioni, il sesso e l’amore, patriottismo e radici, il ruolo di ciascuno, l’organizzazione della società civile e quella militare, democrazia e terrorismo, sapori e piaceri della tavola, lusso e umile povertà sono argomenti che toccano tutti i ceti, di ogni origine. Angelo ha fatto del romanzo un misto di 50% di verità autobiografica e 50% di fantasia.

La mia impressione è che si tratti di fantasia che non stona: essa si confonde con la realtà, ha radici con una vita passata ad esplorare il mondo cercando di comprendere le ragioni alla base di tante realtà sociali quante sono le vallate del pianeta.

E' quasi letteratura ottocentesca, ma, a mio avviso, di notevole presa e comunicatività, oltre che di attualità per il ventunesimo secolo.

Alla fine della presentazione ho chiesto ad Angelo qualche nota sugli odori, sui sapori che ha incontrato in questa sua esperienza di turismo in teatro di guerra... Volevo trarre degli spunti per un commento in sede di ASA.

Ha ripercorso alcuni degli episodi che si sono presentati alla sua sensibilità, esperto ed amante di cucina, di sapori, di profumi, odori. Si era portato nel viaggio qualche riferimento di casa, come tanti italiani fanno girando il mondo, soprattutto per quei sapori più cari che diventano preziosità e servono nei momenti di "melanconia" a ridare forza e fiato: parmigiano, olio extravergine, pasta...

Angelo, anzi Paolo, li porta con sé anche a Kabul, cucina per i compagni giornalisti trovati nella villetta affittata, ne discute il significato ed i sapori con gli stranieri e con i nostri, si accontenta di poco ma con i sapori giusti...

All’ambasciata italiana descrive una cena che – anche se a Kabul – aveva la presunzione di essere d’etichetta, con lui tutto in blu, dalle scarpe ai jeans e al pullover. Monica, giornalista reporter di guerra, in seta nera come si trovasse a Roma, il cameriere coreano in giacca bianca con bottoni d’oro. L’ambasciatore... ospitale anche se fumatore indefesso, offriva occasione di cucina italiana allietata da qualche bottiglia di Orvieto bianco, raro come le mosche dello stesso colore a Kabul.

Il piatto di punta era "spaghetti al sugo". Sugo di pomodoro e di peperoni.

E’ una pagina esemplare che rivendica l'affermazione del diritto al gusto, al buon gusto. In ogni occasione.

Siamo al 21°capitolo, ancora sei per l’epilogo. La curiosità per è al massimo, e ve la lascio tutta intatta. Il progetto si presenta alla ribalta in ognuno di essi come il tam-tam.

Altre curiosità di natura gastronomica e di costume compaiono armonicamente sparse qua e là nel contesto molto ricco di inviti alla riflessione.

Il pane delle donne, destinato ad interi quartieri della città e cotto ogni mattino dalle volontarie di Kabul per conto del Women Bakery Project, uno dei WPF – World Food Program, su cui annota "non l’ha visto nessun soldato e nessuno ne parla."

L’orfanotrofio di Kabul vive sulle donazioni italiane con millecinquecento orfani, in cui Kokla si ferma ad accarezzare le bambine che indossano già tutte il chador...

L’occasione di shopping dei pochi articoli regalo in città, nella zona centrale, e l’acquisto dell’unico libro di cucina afgana, Afghan Cookery di Doris McKeller, edito nel 1966: annota "con tutto il casino di quegli anni sembrava "strano che qualcuno in Afganistan si fosse messo a scrivere di zuppe e spiedini...".

Butchery street è la via dei macellai, una decina di "botteghe che espongono robusti montoni scorticati, appesi a testa in giù a grossi uncini." Le mosche... "qui l’uomo occidentale si ferma e l’esotico non lo affascina più: preferisce il frigorifero e il veterinario comunale."

Non manca un pranzo al ristorante al top della mondanità, si fa per dire, al Golden Lotus, in uno spazio a forma di pagoda, il più stellato del 2002. Scic e kitsch:

" Ci sono soprattutto piatti di pollo: zuppa con mais e pollo, spaghetti al pollo, pollo fritto, pollo con ananas, pollo con verdure, pollo con asparagi, pollo con riso fritto, e altri che non capisco come Chicken-chop suy e chicken chomien. I prezzi sono bassi, almeno per le mie tasche."

Penso che basti. Come ho potuto notare con piacere, la forma di dialogo, che compone buona parte del testo, è scorrevole e facilita una rapida lettura, tanto da dare l’impressione d’essere presenti. Altrettanto le riflessioni sono sempre misurate nonostante l’azzardo dei temi, senza sviolinate nè alterchi. Diciamo che tanti punti di vista sono civilmente esposti e dibattuti pur nella realtà di uno stato e di una terra che nell'ultimo secolo ha conosciuto tanta ferocia e vicissitudini, rimasta allo stadio tribale, con un certo rispetto tra gli uomini, preminentemente basato sul potere.

La donna, nella civiltà mussulmana, rappresenta proprio un altro genere. Quasi indegna di parità in ogni apparizione in pubblico. Paolo ne ha dibattuto soprattutto con Kokla, giovane mussulmana... afgana e svizzera, nata a Kabul e tornata a fare compagnia al nonno. E’ attraente, educata, colta e libera. Entra decisamente a discutere le convinzioni del protagonista contrapponendo un ottimismo sincero quasi convincente. Si tratta del confronto diretto e personale di due culture che continua fino all’epilogo.

Personalmente mi aspetterei, ma non ne sono convinto, che all’interno della tradizione islamica rimanessero integre alcune consuetudini del medio evo che, di fatto, consentivano alla donna di elevarsi anche al ruolo di figura pubblica di maggior prestigio di quanto abbiano potuto esprimere gli afgani nel periodo talibano e che ancora oggi gli avvenimenti e lo spaccato della società mussulmana tendono ad esaltare.

Kokla s’idealizza in un esempio di donna che rappresenta uno "strano incrocio fra due culture, due religioni, due stili di vita. E direi che hai preso il meglio di tutto, in uno splendido sincretismo."

Il Kamikaze cristiano è romanzo più autobiografico di quanto possa apparire. Il momento storico è d’attualità: rappresenta una realistica base d’informazione della vita di Kabul, credibile per un inizio, almeno da parte mia, di comprensione dei rapporti tra i ceti e le persone nei paesi islamici oggi e della conflittualità con i costumi occidentali.

Angelo è collega conosciuto e stimato da molti soci di ASA per cui è superfluo un accenno al suo curriculum personale e professionale, ben delineato in retro copertina e nel suo sito web http://www.angelotondini.com/ita/libri.html

Mi auguro di averlo con noi in occasione d’eventi interessanti quando farà una sosta tra gli impegni di esplorazioni nel mondo. Adesso è alla volta di Georgia ed Armenia, e persegue la sua passione, la fotografia. Ne sento l’attaccamento e la mancanza nelle pagine de Il Kamikaze cristiano che mettono in luce il drammatico momento attraversato dai professionisti del ramo in tutto il mondo.

Angelo rimane affezionato alle sue Nikon: lo testimonia per sempre la realtà romanzata del libro... anche oltre l'epilogo...

Buona lettura

Enzo Lo Scalzo

Cannes Marina, 30 Marzo 2007

 

 

 

Fuori sacco: la pagina degli "Spaghetti all’ambasciata…"

 

  • Buona questa pasta, complimenti!
  • Grazie, il cuoco è italiano, per mia fortuna... Normalmente c’è mia moglie in cucina, ma a Kabul non è venuta. Non ho voluto io, troppo pericoloso...
  • Questi ottimi spaghetti mi fanno ricordare un episodio singolare della mia vita, che ha delle coincidenze con stasera...

Paolo a questo punto racconta come in Malesia, in una serata analoga all’ambasciata italiana, avessero servito "spaghetti al sugo" osannati da tutti i commensali... e rimasti lì... nel suo piatto... dopo la prima timida forchettata. Fece seguito uno stretto commento da parte dell’Ambasciatrice...

Non ha fame?

No, ho fame, eccome

E allora perché non mangia? – insisté.

Lo vuole proprio sapere?

Certo mi dica

Questi spaghetti non sono buoni, quindi non li mangio

Ah – disse l’ambasciatore con aria seria – E c’è un motivo preciso?

Sì, c’é

Quale, prego?

La pasta è scotta e il sugo con troppa cipolla. Non riesco proprio, mi scuso.

Dovevate vedere la faccia degli altri invitati che avevano molto gradito il piatto! Si guardarono sgomenti fra loro, fissandomi con odio. Diciamo che la situazione era molto imbarazzante e soprattutto veramente poco diplomatica. Non avevo usato mezze misure o giri di parole in quello che avevo detto, ma era stata lei che aveva insistito, se lo era proprio voluto.

Un momento difficile - commenta l’ambasciatore.

Sì, certo, ma più per la signora che per me. La situazione si aggravò quando lei chiamò il cuoco e lo rimproverò davanti a tutti per la scarsa qualità degli spaghetti.

Terribile, certamente terribile. Cose che non si devono fare- continua l’ambasciatore.

Non c’è dubbio, e dovevate vedere le facce degli altri invitati che avevano mangiato la pasta con grande soddisfazione! Era come dargli una patente di stupidità, di pessimo palato.

Il resto del pranzo come andò? – chiede Monica

Discretamente per fortuna

Meno male, ho creduto che tutto fosse finito con un grosso incidente diplomatico o in una rissa...

No, siamo arrivati al dessert in piena cordialità.

C’è un lungo momento di silenzio, si sente soltanto il rumore delle forchette sui piatti. Buon segno: gli spaghetti piacciono e gli ospiti si concentrano sul cibo. Il cameriere coreano gira con la zuppiera e qualcuno fa il bis con una seconda dose. Anch’io: ho fame. Vuol dire che sono in buona salute. Sono un condannato a morte modello.

 

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