|
RECENSIONI
IL CERVELLO GOLOSO
Di André Holley
Editore: Bollati Boringhieri
Collana: Saggi. Scienze2
Pubblicazione: 10/2009
Numero di pagine: 256
Prezzo: € 22,00
Perché
il peperoncino fa sudare mentre la menta è rinfrescante? Come mai
i bambini preferiscono le patatine fritte alla verdura? E cos’è
che rende il cioccolato così irresistibile?
Queste sono solo alcune delle molte domande cui André Holley, docente
di neuroscienze a Lione, dà risposta in un suo recente saggio,
cercando di spiegare, in maniera semplice e vivace, quali complessi meccanismi
psicofisici guidano, ogni giorno, i nostri gusti e le nostre scelte alimentari.
Il libro s’intitola “Il cervello goloso”, titolo accattivante
quanto l’immagine in copertina: un folto grappolo di ribes rosso
trabocca dalla pagina, invitando il lettore ad addentrarsi in un seducente
universo di colori, aromi, sapori e piaceri tutti da gustare e da capire.
Soprattutto da capire. Perché se è naturale abbandonarsi
alla piacevolezza di un cibo, non è altrettanto intuitivo ripercorrere
coscientemente le sollecitazioni che quel cibo scatena nel nostro corpo,
facendocelo preferire ad altri, magari più sani ma meno appetitosi.
E’ un campo di ricerca molto ampio e in continua evoluzione, che
coinvolge diversi settori del sapere: dalla neurologia alla psicofisica,
dalla psicologia alla sociologia, dalla chimica alla scienza della nutrizione,
con risvolti importantissimi sul business dell’industria alimentare
e del marketing.
Il cibo si è trasformato, nei secoli, da semplice esigenza a raffinata
fonte di piacere. Di conseguenza chi lo produce e lo vende mira ormai
a soddisfare, innanzitutto, le attese edoniche dei consumatori, piuttosto
che le caratteristiche organolettiche in senso stretto. Da un lato risulta
affascinante, quindi, indagare come il nostro cervello risponda a determinati
stimoli sensoriali, distinguendo il buono dal disgustoso, preferendo normalmente
il piccante e il dolce, all’amaro e all’aspro. Ma oltre a
quest’analisi introspettiva, è bene guardarci attorno e comprendere
che moltissimi alimenti industriali sono concepiti ad hoc per premiare,
appunto, i neuroni, ingannando spesso i nostri sensi con trucchi chimici
ed espedienti emotivi di cui non sempre siamo consapevoli.
Per penetrare i misteri dell’alchimia sensoriale, Holley ci introduce
direttamente negli organi di senso, accompagnandoci lungo il cammino che
odori e sapori percorrono, dalle narici e dal palato, fin su nel cuore
del cervello, per trasformarsi in aromi. Anche se nell’essere umano
la vista è il senso predominante, è l’olfatto a trionfare
nella formulazione del sapore, recuperando quell’animalità
ancora viva in noi, non più volta a fiutare il pericolo o a cacciare
la preda, bensì a riconoscere le tracce del piacere. Infatti, gli
stimoli olfattivi e gustativi percorrono strade inizialmente disgiunte
ma, una volta entrati nella giostra neurale, finiscono spesso per incrociarsi
e mescolarsi.
“Gli aromi
rappresentano gli odori dell’alimento percepiti nel tratto che collega
la bocca alla cavità nasale. Molte proprietà degli aromi
sono determinate già all’interno dell’organo dell’olfatto,
grazie a centinaia di recettori diversi, il cui numero e la cui varietà
consentono di rappresentare ogni odore nella sua singolarità. Si
tratta dell’immagine olfattiva”.
Lo sanno bene gli esperti di analisi sensoriale, che hanno dimostrato
come sia riduttivo circoscrivere la gamma di odori e sapori a categorie
precise e distinte, perché le sfumature sono infinite. Ai quattro
tradizionali sapori fondamentali – dolce, salato, acido e amaro
– se ne è già aggiunto un quinto, l’umami, ovvero
il sapore squisito, che corrisponde al gusto del glutammato, tipico di
molti piatti asiatici. Allo stesso modo, è impossibile classificare
tutti gli odori, anche perché l’olfatto è un senso
molto più intimo, fortemente legato all’esperienza e all’apprendimento,
con una memoria potente che rende ogni naso unico.
Ma Holley, nel suo libro, va oltre ciò che abbiamo a portata di
naso e bocca e ci conduce fin dentro al complesso sistema sensoriale che
completa la percezione degli aromi. Si tratta del nervo trigemino, meno
noto rispetto agli altri sistemi sensoriali ma fondamentale nella percezione
delle sensazioni particolarmente vivaci, intense e anche dolorose.
“Il quinto nervo cranico, un nervo molto polivalente, arricchisce
con le sue diverse sensibilità, tattile, termica, al dolore e chimica,
quella già complessa dell’odorato e del gusto. E quando il
peperoncino si trasforma in bruciore e il mentolo in freschezza, alcune
fibre di questo nervo, sensibili al caldo o al freddo, prestano i loro
recettori a molecole che non sono né calde né fredde e che
li ingannano.”
Ecco perché tutti i nostri sensi sono invitati a pranzo: anche
il tatto, che valuta la consistenza e la resistenza dei cibi; l’udito,
che ne percepisce il crepitio e la friabilità; e persino la temperatura,
sollecitata proprio da questo incredibile ricettacolo di neuroni.
Mangiare, quindi, diventa un piacere proprio grazie alla sinergia tra
tutti i nostri sistemi sensoriali, che ci porta inconsapevolmente ad attribuire
al cibo un valore emotivo e affettivo. Questo è dimostrato anche
scientificamente, tramite il neuroimaging, un sistema con cui vengono
osservate le variazioni del flusso sanguigno nelle aree del cervello sottoposte
a determinati stimoli. Molto banalmente, è come fotografare il
piacere che proviamo nel gustare una tavoletta di cioccolato, o l’allegria
che può procurarci un buon bicchiere di vino.
“Quando annusiamo, non sentiamo solo odore, quando assaggiamo, non
sentiamo solo gusto. Abbiamo ricordi. Soffriamo. Odiamo. Dialoghiamo con
il corpo nella sua totalità, pretendiamo, osserviamo. Non solo
i romanzi, ma le immagini del nostro cervello lo dimostrano, perché
è il cervello, non la nostra riflessione cosciente, a coordinare
tutti questi processi.”
Dopo aver letto con vorace curiosità quest’affascinante saggio
di Holley, mi resta solo una considerazione, del tutto personale: cos’è
che fa essere il mio cervello così goloso di qualcosa che non ha
assolutamente odore, né un colore attraente, né un sapore
deciso, come può essere un boccone di pesce crudo senza condimento?
Non mi riferisco all’elaborato sushi, che è un universo di
sensazioni solo a guardarlo, ma al sashimi servito come piace a me, semplice,
primitivo. Un petalo di platessa privo di wasabi, un cubetto di tonno
senza salsa di soia, o un gambero senza zenzero che carattere hanno? Possono
essere così gustosi da solleticare l’acquolina e il desiderio?
Per me sì! E allora mi domando se, in realtà, non esistano
altri misteriosi sapori e sorprendenti odori che aspettano solo d’essere
scoperti e definiti.
Forse un giorno la scienza darà una risposta anche a quest’interrogativo.
Nel frattempo, mi torna alla mente un’altra piccola, preziosa verità,
che solo la letteratura può mirabilmente sintetizzare. E’
un’affermazione di Virginia Woolf, tratta dal saggio “Una
stanza per sè”, che dice: “Uno non può pensare
bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene”.
…Ovviamente, sono d’accordo!
Paola Cerana
|
|
|