Identità Golose 2010 – 31 gennaio
Presentazione del Congresso
Il mondo cambia il modo di vedere la cucina: in fondo anche i cuochi sono disponibili a fare più squadra tra di loro rispetto a sei anni fa...
I giornalisti e comunicatori hanno a disposizione i blog! Per ogni tipo di cucina! L’Alta Cucina era dominata dalla Spagna? Adesso non è già più di moda...
Noi italiani siamo molto attratti dall’insutarci a vicenda. Eppure il mondo ama e vuole cibo italiano, ma i cuochi italiani nel mondo la evitano, gli chef in vista sono tutti stranieri, di ogni razza. I nostri sono solo pronti a parlarne male e gli altri sono pronti a rispondere parlando male di loro...
Dobbiamo imparare a difendere il cibo ed il piacere del gusto, gusto della semplicità: occorrono prodotti di qualità eccezionale. Slow Food si è rivelata un salutare custode dei giacimenti di qualità italiani, naturali.
Pertanto se i prodotti ci sono e la cucina italiana non manca e ne abbiamo sacra l’arte, è solo la “Buona Italia” che manca... come manca un premio alla buona cronaca sulla buona cucina...
Paolo Marchi
La stirata è rivolta ai giornalisti e gastronomi italiani che non fanno squadra per vincere il torneo... Ognuno è invidioso dell’altro...
E.LS.
Davide Oldani e Massimo Bottura sono i testimonial della presentazione
Il Lusso della Semplicità: POP, la nuova grande cucina italiana
Davide Oldani si presenta
Due interisti sono quasi sempre d’accordo e fino dal 1992 D.O. è stato citato da P. Marchi su Il Giornale. Davide ne esplicita il progetto.
Oceano blu (qualità) e Oceano Rosso (prassi)
Prodotto: CONSISTENZA e PROFUMO. Con una cucina smagrita (meno grassi) vanno reinseriti profumi ed aromi.. Esempi eccellenti sono:
1° - Tettina e Foie gras in confronto... la “spuma di birra” come schiuma senza sifone, all’italiana, che possono fare tutti senza spendere un sacco di soldi per il sifone all’azoto o idrogeno... A questo punto sono da confrontare oltre che i profumie anche le consistenze.... Paolo e Alex assaggiano i due costituenti
2° - Latte cagliato con Caviale Osetra vero e latte cagliato con caviale D.O. e pera...
Il caviale di D.O. è fatto con farina di tapioca... e salse. Favide ha imparato a fare salse in Francia, dalla scuola di Escoffier e dalla scuola di Marchesi che ne ha tradotto l’essenza all’italiana...
3° - Tartufo e fontina... Magnatum Pico su fontina e in confronto, dall’esperienza fatta da Giannino, con ciambella di un soufflé con alghe verdi fritte, alghe napoletane...
Davide Oldani alla cucina abbina altre attività di contorno:
Design di stoviglie e posateria da tavola
Libri
Consulenza R&D
Sponsorizzazioni
Luigi Taglienti, a spasso nel territorio della provincia di Savona, con pubblico esercizio in provincia di Cuneo... Luigi è stato alla ricerca un territorio che rappresentasse interamente le sue scelte: cucina della semplicità, legata al territorio, quindi alla tradizione, ma con creatività rivolta alla sua evoluzione. Lusso della semplicità per Taglienti si crea con una cucina derivata dal mare (Savona) e dalla terra (Cuneo), arricchita dai sapori rappresentati sia dal raccolto della coltivazione che dagli allevamenti e dalla pesca. Il territorio d’elezione sono diventate le Alpi Marittime. La formazione di base è avvenuta anche per lui in Francia, all’insegna della “Le Guide”, per proposte di mare e di verdure, ma con una particolare ricerca di materie prime minori, tra cui brillano le frattaglie ed il pesce azzurro.
Prepara per la sua lezione 3 ricette: la prima è un “fegato grasso all’italiana”, la seconda un primo di “maccheroni con la trippa” e la terza è la ricetta tradizionale chiamata “sbira”, “trippa in umido con i borlotti”.
La procedura del fegato grasso all’italiana è parallela alla preparazione del demicuit di foie gras d’anatra o d’oca, ma partendo da fegati di pollo e di coniglio, che sono saltati e lavorati con aromi derivati da cacao, nocciole, uovo, balsamico, panna fresca. Una lavorazione minuziosa, laboriosa, che si conclude con la spadellatura a demicuit e la cottura dell’impasto passato al setaccio che Luigi esegue per 8 minuti in forno a 85°...
Il risultato è una serie di cilindretti ottenuti in stampi multipli di paté, appena appena trasferibili dopo la cottura in forno per essere composti nel piatto con gli altri ingredienti accanto ad un pan brioche rosolato... Delicati e ricchi, a parere degli assaggiatori...
Personalmente sono fresco di una proposta e un confronto di foie gras de canard trattato con procedura simile e marinato per 24 ore insieme agli ingredienti segreti di Janine Marini, regina di una preparazione a casa che batte tante medaglie d’oro di Francia. Con Pierre la scommessa golosa era tra l’inclusione di un grande Cognac o Armagnac o no tra gli ingredienti della marinata, in una cottura a demi-cuit che Janine aveva in lunga vita definitivamente scelto in 2 minuti a 750 W di microonde... Scusate la digressione personale, ma ne ho parlato a Luigi che potrà confrontare la sua scuola e la scelta delle delicate condizioni di cottura con quelle dell’amica signora Parigina che dedica ben tre giorni alla preparazione, di cui il primo è destinato alla puntigliosa separazione d’ogni lume venoso e nervoso dal delicato fegato grasso!
Lusso e semplicità per Luigi esigono materie prime selezionate dai presidi di Slow Food, galline e conigli di razze che liguri e piemontesi hanno sempre curato come tesori di famiglia, accostate a profumi di mare come colatura di acciughe di Cetara che Paolo Marchi non capisce come mai non siano ancora oggetto di produzione di nicchia dell’artigianato goloso ligure!
Le altre due ricette si presentano con la famosa trippa bianca e rossa dell’esofago di vitella, e la crema di fagioli di Pigna con maccheroni, che un partenopeo non esiterebbe a sostituire con stuzzicosi paccheri, aromatizzati con “pomodorini alla griglia, confis di limoni liguri e colatura...” La “sbira”in umido con borlotti su purea di patate all’olio ligure completa il quadro di “semplicità del lusso”.
Antonio Cannavacciuolo ed Eugenio Pol hanno cavalcato in scioltezza il palco raccontando la semplicità e la bontà di fare scarpetta con varie consistenze e profumi aromatici di pane d’autore, naturale per lievitazione e da cereali di colture di nicchia che Pol mi ha acconsentito di approfondire in incontro tête à tête.
Un’osservazione fondamentale sul pane è stata che oggi il lievito di birra è giunto a gradi di elaborazione e cottura tali che con l’impiego dei superdotati lieviti per il controllo della mollica, piuttosto che della crosta o per conferire profumi, oggi i profumi della flora batterica della birra denaturano la delicatezza dei profumi dei grani. Il grano, come i risi e tutti i cereali, possiede sfumature di aromi e profumi tipiche, a cui ad esempio, è molto sensibile la tradizione della cucina indiana... Il valore attribuito a colori e profumi è pari almeno a quello dei sapori in India.
Cannavacciuolo possiede la fantasia di rendere solare la naturalezza di aromi, di geli e di salse, purea e creme, che si lasciano accarezzare con trasporto dalle “scarpette” personali di pani particolari... Il legame tra cuoco e fornaio diventa strettissimo. Pare ideale, ed è giunta alla sua terza promozione, la stratificazione di una “crema di burrata”, rivestita da “scarola” resa semiliquida per cottura e sminuzzatura e “inseminata” in coppa con crosta di pane sminuzzata e dorata...
Le foto illustrano il piacere, le consistenze separano e mantengono i confini ai sapori di ciascuno strato, seppure inseparabili tra loro!
Una degustazione con amici di Lusso nella Semplicità
Preceduta da una road-map su sapori e curiosità di germogli di micro-vegetables distribuiti in Europa dall’olandese Koppert Cress B.V., sono passato alla degustazione di spumanti Ferrari, giunti alla cuvée del centenario... Sono vecchio amico dei genitori della terza generazione dei Lunelli dedicati anima e corpo alla conduzione dell’azienda, oggi praticamente lasciata – pur sotto l’attento monitoraggio dei fratelli – ai tre cugini Matteo, Marcello e Donata... che hanno, con un estroso e simpaticissimo enologo, Luca Gardoni, tenuto in costante stato di felicità l’ampia sala di degustazione del Congresso... salutati da un ricordo del nonno, di Rolly Marchi, e dal mio, privato, dei papà e mamme!
Quattro grandi spumanti, lo Chardonnay Ferrari ed il Perlé Rosa nato nel 1992 da Pinot nero, per fare sognare in accostamento a “foie gras” l’anatra con Riserva Ferrari e Riserva Lunelli Ferrari i palati ed i ricettori visivi ed olfattivi dei convenuti! Sensazioni di sapori indescrivibili tipici dello Chardonnay di Villa Margon, del Pinot nero trentino selezione Marcello, con sfumature di giallo dorato e vite verde, perlage molto fine, nocciola, cremosità, mandarino, clementino, noce moscata, fiori di gelso hanno generato una serie di “bollicine” da esplosione amorosa...
Carlin Petrini – (Vedi file 8 febbraio - MADE Expo in www.asa-press.com ASA/Milano EXPO - )
Petrini a Made EXPO, due giorni dopo
E’ scatenato, ringiovanito in quasi dieci anni di transito dall’ultimo incontro. Quella volta si mise sull’attenti sulla missione dell’Accademia Italiana della Cucina di cui portavo la voce rauca, mentre Slow Food si scatenava sulla novità dell’applicazione delle leggi HCCP! “A Roma non capiscono nulla!”. Aveva ragione, e tanto più oggi: Carlin a viva voce dice di avere scritto tutto sul suo nuovo libro “Terra Madre: come non farci mangiare da cibo”.
La sua intervista con Paolo sul palco di Identità rincorre a braccia quella pubblicata il giorno della presentazione su Il Giornale. L’alimentazione è al centro del dibatitto, l’economia alimentare richiama tutta l’attenzione mediatica. Notizie caricaturali d’ogni genere e da tutte le direzioni si accavallano, ma non emergono i problemi di fondo: l’insostenibilità alimentare ambientale, l’infertilità dei suoli e l’impoverimento dell’humus. Temi su cui l’approfondimento deve precedere le scelte di orientamento strategico per alimentare la Terra.
Slow Food sta lanciando la sua campagna, internazionale, sull’idea mostruosa che i territori circostanti le grandi concentrazioni metropolitane non siano sufficienti all’alimentazione di quelle realtà. Sono scenari ben noti a chi se ne interessa. E’ un tema dibattuto nelle università del mondo, su cui MADE IN ITaly expo concentrò nel 2009 il suo dibattito a Rho Fiera, con non più di una dozzina di partecipanti in quell’immesnso auditorium!!!
La critica ironica per Carlin Petrini è insita nel proprio DNA: a Cuneo si fa allevamento di maiali... Alla casa bianca si coltivano orti! Difficile èerò che crescano buone erbe... da un suolo sempre più impoverito di biodiversità! Negli ultimi 100 anni abbiamo perso il 70% delle varietà! CI STIAMO MANGIANDO L’AMBIENTE, e combattiamo la distribuzione del latte di vacca dalle stalle alla mensa, frapponendo ostacoli che la tecnologia oggi è tranquillamente in grado abbattere!
Come reagire? Solo facendo squadra, squadra cosciente, d’ogni origine e formazione.
“Contado” è la comunità, il contadino l’alimentava con prodotti naturali. In America era stato scoperto nel ‘900 il FARMERS’ MARKET. Oggi, nel 2009-10, la Coldiretti ha scoperto che il FARMER MARKET ci può stare, dal campo alla tavola.
Non si può scappare dalla logica e dal percorso razionale divulgato nel suo libro, una “road map” dell’alimentazione. I media scrivono in serie con vecchia carta carbone di “nicchia”, di “prezzo”. Dobbiamo considerare il valore della qualità, difenderne il costo con il prezzo. Il prezzo deve essere giusto, non caro nè a buon mercato, ma giusto. In questo ragionamento si concentrano tanti dissidi tra “massa di qualità” e “qualità di cibo”, tra questi, per esserne protagonista comunicatore, richiamo la polemica tra Consorzio DOP e Produttori contadini di valle, ad esempio, del Bitto, mezzo millennio almeno di storia della pastorizia e della caseificazione alpina documentata anche in letteratura e proibita “con pena” per legge!
Nel salotto della San Pellegrino e degli sponsor d’Identità Golose il commento ai concetti di sano senso comune diventa allegramente pubblico, quasi disordinato, ricchissimo di battute, ma con chiarissimi lampi di luce, d’ironia costruttiva... E’ tutto un altro film, richiama la missione di Milano EXPO... Ne parlo in un’altra rubrica!!! Intanto si possono godere le tipicità salvate nei presidi di Slow Food... e continueremo a tirare più avanti! Avrebbero potuto essere Premi dell’accademia, in memoria di Dino Villani. I diplomi si perdono nello spazio, restano ancora accessibili i prodotti salvati. Per quanto?
Mauro Uliassi, il pesce e la selvaggina
Nel 2007 Mauro aveva allestito in scena un concerto suonato per ogni ingrediente che entrava in ricetta con l’ingresso di uno strumento e con il suo suonatore. Indimenticabile l’effetto a Palazzo Mezzanotte!
Mauro è appassionatamente aperto alla confidenza per la sua passione e per il suo estro. Ricordo la felice esperienza dell’orchestrazione... Il tema del 2010 richiederebbe più di un concerto, tanto è sentito e tanto è armonico con il suo sentirsi poeta libero: significa tradizione? Ossia sarebbe sinonimo di semplicità? Oppure innovazione ? sinonimo di complessità? No, per nulla. Per Mauro che ha l’innovazione intimamente permanente nel suo DNA, innovazione e creatività è ars poetica, in quanto non essendo statica, la tradizione nel suo vocabolario acquisisce due significati: da tradere, consegnare, per la continuità della memoria, e allo stesso tempo da tradire, cambiare quasi a tradimento... Si lascia trascinare da riflessioni iodate e si addentra nella preparazione che ha pensato per questo congresso...
Spaghetto affumicato con pendolini alla griglia e vongole...
I “pendolini” sostituiscono il classico pomodoro e, grigliati a calore vivo, conferiscono un sapore caldo, consistente e persistente lungo tutto l’arco del gusto... Li ricordo preparati con un caro amico fraterno, che non potendo più gustare per una male devastante, cucinava per gli amici delle sue figlie... godendo almeno dei profumi fino a quando la devastazione del male non gli tolse anche quel privilegio. Visse anche di fantasia. Mauro ha appena inventato la tecnica della bollitura delle vongole, in acqua bollente per pochi minuti, e apertura al coltello con raccolta dell’acqua di costituzione intima, che le ha affogate, aggiunta a parte... In aggiunta golosa un fumetto di brodo di pesce, delicato, da anguilla che aromatizza il brodo che si concentra a parte per profumare ancor più la pasta... Pasta con cottura 8 + 4 minuti, nei secondi 4 spadellata nel suo fumetto con tutti gli aromi dei brodetti e pure quelli del... tradimento!
Quattro sono i sapori di una zuppa marchigiana con tre ostriche tritate finemente, aceto di vino e lattuga di mare per filtrare un siero d’alga... ricchezza di prezzemolo e ricerca d’uova rosse di coregone (mostrate in mano) che copriranno un intingolo fatto con interiora di calamaro passata al setaccio e addolcita da latte... e...
Infine un piatti di mezzo dalla scuola de Le Guide di Escoffier: le paste sono al massimo livello del gusto italiano, di cui si va fieri! Padelle alte, il fuoco vivo per avvolgere o sfiorare il recipiente di cottura, e la pasta da saltare, come se fosse viva e vivace!
Pesce e caccia: le carni di caccia sono magre, anche fibrosamente tenaci: un tempo si facevano infradiciare con la frollatura tirata a lungo, caricandole però anche di cattivi e poco salutari batteri di decomposizione. Oggi si frollano tra due e tre giorni per fare un ottimo “spezzatino di pernice con salsa di potacchio”!
E’ un classico della cucina marchigiana, e fa buon pranzo!
La seconda giornata d’Identità – 1 Febbraio 2010
Massimo Bottura, il lunedi 1 febbraio è raggiante... ma si comincia la sessione con Salvatore Tassa ed i Profumi della Terra.
Pare che sia stato lui a scatenare in Paolo Marchi l’idea e l’amore per il “Lusso della Semplicità”. Salvatore, ciociaro, ama e lavora verdura per verdura per la tavola: coltiva il suo orto e immerge le mani nella terra aprendo la porta al rapporto tra la terra con il piatto e la pittura. Resta ancora bambino alla sua età e continua a giocare con la terra... Dal gioco per Identità Golose ricava l’estro per il gusto di “aringhe sull’erba” e di piatti accompagnati sempre da profumi di terra che si sprigionano dal “brodo di manzo” con stessi profumi di gelatine e succhi estratti nei brodi. Essi si rinfrescano con continui apporti, sempre fragranti, di oli essenziali direttamente provenienti da erbe di stagione, timo, maggiorana, menta, melissa, alloro, esaltati dalle note musicali di cui Salvatore è appassionato.
Affumica l’aringa con le erbe, li esalta anche con i germogli di colture semi-idroponiche appena arrivate a Identità Golose per un viaggio incredibile in un percorso olimpico di sensazioni. Richiama l’apporto di tartufo nero: all’assaggio si sprigiona gusto di terra fiorita... e al ritorno amore di profumo di terra! Così si esprime Stefano!
Nel pesce cerca di combinare la forza di carni semplici, come il coregone, la sarda, l’aringa del nord, che sposa con rapa bianca e rossa, tartufo e brodo di manzo cotto sull’angolo del focolare (fornello) per 56 ore, a sobbollire a lungo quasi senza bollicine perché la “semplicità”, anche nelle tecniche di Tassa, si estende alla tecnologia, che resta primordiale, al fuoco...
Curioso, è un appassionato dei sapori di sale: per non sbagliare è un consumatore di sali di Guérande... i miei preferiti in Francia!
Alex Gares prosegue il viaggio di “Semplicità nel Lusso” tra sapori d’Oriente: un Catalano alle Maldive! E’ cultore di “curries” e “panes”, di pesce e bontà vegetariane. Basa la sua lezione su una matrice legata al “cocco” e allo “yogurt”. Entra e divulga i segreti dell’anima di un “Curry de Gambas”. Nel secondo piatto complesso e animato si sofferma sulla capacità di ampliare la gamma dei sapori approfondendo essenze che si sprigionano in ogni fase della maturazione dei frutti naturali: quasi albero per albero. Alcuni si lasciano coltivare e a quelle latitudini caratterizzano i sapori della cucina del territorio.
Massimo e la Saraghina!
Ma ecco finalmente Massimo Bottura: Italia e stampa... un Premio inatteso ma sognato dalla pubertà: Cuoco dell’Anno! Ricordi di progetti di piatti “fatti bene”, cioè soprattutto gustosi!
Ne fa una rapida storia e gli spiace che alcuni critici gli abbiano reso difficile il percorso: ma più che critici esperti sono i critici della caccia alle streghe quelli che rendono difficile il percorso, con grande confusione d’informazione.
La cucina dovrebbe essere occasione d’esaltazione della famiglia, dell’affetto, dell’amore per il buon cibo. Dietro ai fornelli Massimo continua a riflettere, non si perde mentre sogna, vola, s’immerge nel passato, non rivoluziona i sapori ne studia, progetta e propone l’evoluzione. Si, la cucina è evoluzione non rivoluzione. La contaminazione creativa non è il traguardo d’arrivo, è lo spirito che stimola la partenza. Basta ricordare la storia della patata, del pomodoro per riconoscere il ruolo della creatività italiana nella cucina di buon gusto. Scorrere i trattati dei secoli scorsi è un invito a recarsi in giardino e stimolare la curiosità oltre che adattarsi alla sorpresa.
Sono altrettanto invitanti i guardiani delle altre ville: ci si mette in contatto con altre culture e colture, si scambiano le esperienze che derivano da sensazioni nuove che distraggono la monotonia della ripetizione ossequiosa alle ricette, popolari o d’autore. L’esperienza di famiglia s’insedia nei sensi e nei sentimenti dei figli, che in cucina si ritroveranno sempre con il ricordo dei padri, di mamme, nonne, zie...
Massimo ama conoscere direttamente i suoi fornitori, gli allevatori, coltivatori, macellai, negozianti. Il rapporto personale è fondamentale. Conscere a fondo le provenienze di materie prime e servizi ed il rapporto di affidabilità e sicurezza dei fornitori è essenziale per la gestione della qualità gastronomica del prodotto che si propone ai clienti: il pesce “fresco” è parte di “qualità”, la convinzione di avere il pesce “ancora più fresco” è uno scalino basilare per la soddisfazione del cliente, per far scaturire il rapporto di fiducia e convincere sulla sincerità della propria passione.
Se le norme HCCP ne suggeriscono la pratica, più che da una certificazione si riesce a giurare sulla garanzia sostenuta personalmente con la propria immagine. Ne consegue la comunicazione diretta non solo ai familiari ma a tutta la squadra, a tutta la brigata. Bottura ne è orgoglioso, e con la sua brigata presenta il piatto ideato per Identità Golose, La Saraghina: la storia di una “sarda” che si sente “saraghina” e vuole trasformarsi in “aringa”.
Gli stadi della trasformazione si realizzano con l’acqua di scorrimento per il lavaggio della sarda, che verrà concentrata a bassa temperatura e si trasformerà in brodo con il sapore di mare. La sarda aperta e liberata dalla sua spina sarà farcita con confis di limone, uova di ricci, erbe aromatiche, senape, e gelatina di saraghina insaporita da aceti, zucchero e balsamico. Ducasse chiamerebbe questa fase “caricature du gout”. Massimo ha assorbito la tecnologia del gusto agli stage di Ducasse, e se ne rammenta al momento opportuno.
Ricorda anche l’era dell’arte di Lucio Fontana, quello dello “spazialismo”: i tagli come segnale misterioso spaziale capace di delimitare la profondità che la tela non riesce altrimenti a comunicare istintivamente. L’accostamento a carbone bruciato è altrettanto istintivo... Pensa al componente carnivoro adatto e la lingua gli appare come il carrier diretto alla presentazione di consistenze e alla trasmissione di gusto facilmente acquisibile, diventa lingua + carbone. Sapori di campagna, crema di coriandolo, sentire di salse, curry di lenticchie promettono buonissimi spunti d’appetitoso momento d’intelligenza, d’umanità alla ricerca di cenare, pensare, vivere, confrontare, gioire.
Un suggerimento ai giovani: cercate di conoscervi dentro voi stessi... Applausi a squarciagola!
L’appassionata lezione di Bottura ha appena lasciato tanto sentimento di passione per una grande festa del gusto che sul palco compare Enzo Vizzari per una intervista con Alain Ducasse. Ne traccia in primis il curriculum per congiungere la sua professionalità di grande chef a quella di grande imprenditore della ristorazione, una ristorazione francese, classica, mediterranea che cerca di mantenere alla base della qualità gastronomica la correlazione tra qualità naturale delle materie prime e la gustosità che si personalizza nel cibo che ne deriva.
Oggi Ducasse ha approfondito la proposta di sapori naturali del territorio in tutti i suoi ristoranti: da Montecarlo (Hotel de Paris), a Parigi (Le Louis XV) , a Londra (Dorchester), a New York (Adur al Saint Regis), in Maremma (L'Andana), in Provenza (La bastide de Moustiers), ed altri locali in Francia e nel mondo, tutti legati ad una cucina del territorio sostenibile... in adesione alla sua missione da sempre dichiarata di favorire con i sapori naturali del luogo conoscenza e familiarità con il territorio. Intervistato da Striscia la Notizia sulla cucina molecolare e su additivazioni sintetiche di moda in cucina, in perfetta sintonia e compagnia con Massimo Bottura, i due chef hanno diplomaticamente dichiarato la “non applicabilità” ( n.a., come si annota specificamente nelle schede d’esame dei sistemi di qualità a norme internazionali) della domanda del pungente intervistatore, intimamente convinti di una cucina moderna nella tecnologia ma fedele al rispetto dei prodotti e delle tradizioni del territorio. Semplicemente si sono scambiati la domanda tra loro chiedendosi di fatto: “...ma da dove arriva questo signore? Di cosa sta parlando? Perché si rivolge a noi?”. “Penso che la regia avrà assorbito lo schiaffo e si renderà conto che nella ristorazione ci sono protagonisti seri che, arricchiti dalla propria passione e professionalità, sanno parlare di quello che conoscono e rispondere adeguatamente a insolenti maldicenze.” E’ una mia riflessione, ma è anche la loro!
Alain si è soffermato sulla domanda di Vizzari, curiosa sulla sua stima della cucina italiana in confronto alla francese classica, apprezzata per secoli nel mondo. Ha risposto con i concetti che espresse oltre vent’anni fa, nel dibattito emerso a ridosso dell’era della Nouvelle Cuisine, quando anche l’AIC e l’Accademia internazionale si confrontavano con i nuovi rivoluzionari dettami emergenti dal manifesto di Boccuse e con un manifesto dello stesso giovane Ducasse, sottoscritto da altri undici chef francesi, “ contro la globalizzazione della gastronomia francese”. Al tema dedicai un capitolo del mio libro “In difesa della Buona Italia”, edito nel gennaio 1998 dalla Delegazione di Milano Internazionale della AIC. In quell’occasione, in un’intervista pubblicata in Francia, Alain si espresse meglio del più esperto ambasciatore dei valori della tradizione gastronomica italiana, pur sottolineando il primato della cucina francese, per la rinomata tecnologia e l’eccellenza nella selezione dei prodotti alimentari.
(Poi anche in Francia si applico la HCCP e... a buon esempio di scempio, decine di acciugai del territorio di Colliure dovettero abbandonare le tecniche di conservazione millenarie delle acciughe e lasciare campo aperto alle importazioni dalla quarta sponda del Mediterraneo, anche passando attraverso il Principato di Monaco...)
Sosteneva Ducasse:
“... Le culture regionali hanno fatto la ricchezza della nostra cucina (francese) e oggi qualche cuoco si lascia influenzare dai fenomeni che non hanno niente a che vedere con la nostra cultura, come le spezie o i piatti crudi alla giapponese... La nostra cucina ha perso un po’ la sua identità, ma è sufficientemente ricca per restare francese, a meno che non sia bretone o alsaziana. Oggi è spesso mischiata, diliuita. Molti colleghi si sono lasciati prendere la mano. Dobbiamo evolverci e quindi subire influenze, ma senza esagerare... Alcuni fanno una cucina ricca d’erbe, e questo non è nella nostra tradizione...”
“... La cucina francese significa innanzitutto buoni prodotti ed è senza senso fare preparazioni sofisticate al punto tale che i prodotti non siano più riconoscibili. L’eccesso di lavoro su un piatto le ha fatto perdere la sua identità...”
“... nelle regioni italiane avete un patrimonio ricco, non avete alcun bisogno di lasciarvi influenzare. Mi sembra che a volte certi ristoranti italiani siano troppo francesi. Devono utilizzare la nostra tecnica, perché siamo i tecnici migliori, ma devono adattarla ai prodotti del vostro paese.... Parlo dal punto di vista professionale. Abbiamo imparato tutta la disciplina della dispensa, del pesce, della salumeria, della pasticceria e via dicendo. Abbiamo una formazione d’alto livello ed è giusto venire da noi per imparare la tecnica, ma fare salse alla panna in un ristorante italiano è un controsenso. La tecnica francese deve essere solo un miglioramento, un valore aggiunto. Penso che ogni paese sia abbastanza ricco per sviluppare una cultura contemporanea e che non abbia bisogno d’importare panna o foie gras dalla Francia...”
Ritengo che questo sarebbe sufficiente per considerare Alain Ducasse un sincero amico della penisola, pur restando francese nel corpo e nell’anima. Egli sostiene che nella bilancia della qualità la qualità del prodotto pesa per il 60%, la tecnica per il 35% e l’arte per il 5%. Per questo il suo motto resta: “outiliser tout qui vient dans le place ou il se trouve!!” Tradotto: “cucinare a Km 0”!
Gennaro Esposito apre la sessione pomeridiana di Lusso nella Semplicità mettendo la natura in padella: tutte le verdure! Con acqua, sale cuoce anche la pasta. Con molto pepe, il salto in padella apre la strada su un universo di naturale di mare e terra coperto di pecorino romano. Anzi, più che romano dovrebbe essere chiamato direttamente sardo.
Nella seconda preparazione diventa protagonista la seppia, tutta, interiora comprese: Gennaro le passa al setaccio fine, all’ultimo anche qui ne fa un estratto condito con aglio, olio, sale e pepe, una salsa di mare, fresca, suadente.
Raccoglie la borragine per farne un pesto e guarnire tutti i piatti, con poco olio. Con la sacca del nero di seppia, che ha tenuto separata, prepara una china per decorare. Il corpo bianco della seppia è tagliato in striscioline che formano sostanza e sapore delicato, sempre dopo un salto in padella. Il concentrato di pomodoro apporta il contributo del sole dopo essersi concentrato in sapore nell’esposizione all’astro per una settimana, tutti i giorni.
La cottura della pasta è la condizione per ottenere l’effetto felice dell’incanto: la sfoglia tirata al tavolo dovrebbe essere al dente il 30 secondi! Ma quando la pasta arriva al punto di essere “al dente”? “Non è ancora cotta”, racconta ai congressisti: “facciamo la prova del vetrino, si vede intensa la linea di demarcazione del cotto e del crudo nel suo spessore...”. Siamo diventati così ingegneri della gastronomia, del buon gusto, della pasta? Assoluto della pasta!
Se ne parlerà sommessamente come se si trattasse di una cucitura, tra il buono e il crudo!
Manolo de la Osa, giovane chef di radici manceghe, è altrettanto uomo di terra, di stretta tendenza agricola: erbe locali, fiori, papaveri, zafferano per una “Sopa de pollo” e una “Sopa de ajo”. La sua credenza di cottura è ricca d’ingredienti per preparare una crèpe che fora ripetutamente. Spolpa cosce e gambetti di lepre. Aggiunge pomodoro e olive. Ne fa una specie di pane carasau, croccante. Compone una teglia e versa sulle carni di lepre tutto il brodo, che rimette a cuocere per 4-6 minuti. Riprende con forti correzioni d’aglio e papavero. La carne diventata rosa si posa su crostino di pane intriso di grattuggiata d’altro aglio che riceve il tocco dell’ultimo apporto con sentore di un’erba... ancora agliata... parrebbe una salvia. Chiama “gaspacho” il piatto, gaspacho cotto, caldo. Piovono domande sulla denominazione. La sala conosce soprattutto il fresco, estivo, gaspacho crudo. Manolo lo mostra anche con tuorlo d’uovo sul fondo della ciotola.
Daniel Patterson con la Nuova California cambia l’onda sonora di lingua ai microfoni, è un giornalista amante delle grandi metropoli, New York, San Francisco. Scrive molto. Appare meticoloso e ricerca il colpo di scena. Le colline della California lo intrigano per la diffusa presenza di fauna addomesticata ma libera in un ambiente eccezionalmente amico della natura. Pecore, capre, mucche sono generosamente portatrici di latte per formaggi genuinamente profumati dall’alimentazione naturale.
Ultima giornata - Martedì 2 febbraio
Lasagne verdi! S’identifica nella preparazione di lasagne verdi Stefano Ciotti, romagnolo in apertura delle lezioni dell’ultima sessione in Sala dei Congressi. Usa ingredienti semplici ma di lusso come ricci di mare, sapori di Fossa, verza, pomodoro.Sia l’acqua dei ricci che il siero di cagliatura del pecorina che seguirà la sua maturazione in Fossa fanno parte della personalizzazione della qualità di gastronomia di mare e colina tipica del suo territorio. E’ spontaneo e sa interpretare l’armonia tra il sole ed il mare.
Alberto Faccani, dedica al Congresso la lezione “Pesci sott’acqua: la cucina sottovuoto applicata alla cucina di pesce della Riviera”.
Parlerà di grigliata e zuppa, di soffritto e di profumi delle zuppe e delle grigliate, dell’aria della Romagna e del mare di Cesenatico, prima di soffermarsi sulla sua tecnica di cottura sotto vuoto, in buste ovviamente impermeabili, termoretraibili, in un reattore a cielo aperto, termostatato, assomigliante a un bagno-maria, regolato tra 50 e 60 °C. Occorre che il pesce sia più fresco del fresco, perché isolato con se stesso e la propria acqua di “vegetazione” con la cottura a bassa temperatura esibirà pregi e difetti esaltati. Ne potremmo parlare a lungo, è in cucina in varie forme da almeno vent’anni.
Soprattutto i francesi sull’onda della nouvelle cuisine ne fecero la novità di qualche stagione per una cucina rispettosa della conservazione dei sapori e profumi più intimi del cibo. Anche a Milano ricordo un team giovane, in un ristorante in via San Marco, che proponeva carni di razza spontanea a cottura lungamente protratta senza perdere nulla della loro ricchezza di umori, fatta sottovuoto. Faccani emula e adatta con creatività la tecnologia al gusto ed alla organizzazione di una cucina che possa primeggiare in termini di qualità recepita alla degustazione: veri sapori intimi di pesce, compresi i sapori di mare emulati da salamoia di indubbia salubrità, o nelle grigliate, di carbone ricuperato da combustione in brace e conservato in estratto di nerofumo e cenere apportate nuovamente alla struttura della grigliata attraverso una tintura appropriatamente estratta.
Alberto Faccani e la sua brigata -La Zappetta -Il bollitore sotto vuoto
Al di la delle Alpi fino alla Scandinavia ed alle isole del mare del Nord si ottiene il tutto con l’affumicatore, una teglia grande chiusa, che ogni chef alimenta con profumi e generatori di nero fumo, carbone, sia per cotture e affumicature realizzate in pochi minuti direttamente dalla dispensa alla tavola per ogni tipo di proteina e legume, ciascuno proprietario dell’insieme di profumi e del grado di fumo come gli antichi macellai erano gelosamente proprietari delle spezie di conservazione delle carni, che non usufruivano di frigoriferi e ghiacciaie, altro che nelle rare fosse profonde di neve per la possibilità di conservare in salute ogni sorta di cibo deperibile.
La statistica dei tempi di cottura, pesce per pesce, è stata largamente sperimentata. L’organizzazione dei tempi è l’aspetto pratico più significativo da mettere in atto. La conoscenza della pesca e delle fonti dei prodotti è altrettanto fondamentale. A Cesenatico, come lungo le migliaia di chilometri delle coste dell’Italia e del Mediterraneo, si presenterebbe l’occasione di crociere o di sedute indimenticabili. E’ una proposta di cucina visivamente piacevole e gradevole nei sapori, ripetibile ed affidabile. Fa parte delle infinite forme di personalizzazione del cibo e delle proposte di rendere piacevole ogni sosta dedicata alla nutrizione, anche come desiderio della soddisfazione dell’amore per il buono.
E’ il turno di Igles Corelli.
Nel 1993 aveva comunicato con i suoi lettori tramite le pagine di Sapere e Sapori, vittima d’una incomprensione temporanea immeritata ai fornelli. Igles continua il suo percorso di ricerca dell’innovazione, ma Terra, Caccia, Acqua, Tecnologia e Cuoco restano i valori fondamentali nell’inseguire l’evoluzione della tradizione. Per Identità Golose l’ “Anguilla di valle” è il piatto che si coniuga meglio con il Lusso della semplicità. Come il maiale. l’anguilla rappresenta l’essenza, lo scrigno della custodia di sapori e consistenze, di salute e piacere: tutto proviene dalla sua alimentazione, delle sue scelte nella varietà che anima la laguna prima di finire uccisa dal sale.
Risotto con la testa dell’anguilla?
Fritta al profumo di alghe?
Profumata con le erbe della laguna?
Il suo fegato su una cialda di mais ancor più raffinato del foie gras de canard o d’oie?
La sua pelle croccante?
La spina, bollita per tre ore, frullata ed essiccata?
Alghe disidratate e fritte?
I sassi con malto secco e olio al centro del piatto
Il tartufo nero sul fegato?
Salse e burro alla clorofilla d’alga?
Questo è lo scenario evocato. La Semplicità del lusso. C’è sempre, a Comacchio!
Chiude la sessione dedicata all’Emila Romagna un’acclamata ripresentazione di Massimo Bottura e di Valentino Mercattili, per un’appassionante rievocazione in cucina e per la felicità del migliaio di presenti alla mattinata regionale di Identità Golose.
La squadra dell’Emilia - Romagna
Annoto: ricordarsi di Striscia. E’ semplice, qualcuno deve seriamente far capire a Ricci che la ricerca gastronomica seria si fa a Identità Golose da sei anni, con serietà e libertà, lasciando esprimere la parte artistica e la capacità di proposta ai cuochi del mondo d’ogni età, in lezioni magistrali, di raccontare e divulgare la tecnologia e la pratica delle varietà della filiera agroalimentare nelle lezioni tematiche delle sessioni parallele del Congresso. Annoto che quest’anno sono state Identità di Olio – Identità di Pasta – Le nuove frontiere della Pasticceria, oltre alla rassegna della cultura e proposta della regione ospite (quest’anno Emilia Romagna) e dello stato-nazione ospite ( quest’anno Slovenia).
Non è sagra, ma vetrina di proposte di cultura e anche di prodotti e di golosità. Vetrina di personaggi protagonisti da tutto il mondo, quest’anno ne ho contati 53, ciascuno arricchito da informazione appropriata e dalla galleria di immagini nel sito web di Identità Golose.
La vetrina che presento nel report ASA è personale, le lezioni sono prevalentemente in sequenza scelta compatibilmente con la presenza e con miei arricchimenti quando mi rievocano notizie e ricordi di oltre mezzo secolo di frequentazione e approfondimento sul campo ed a tavola, di studio in convegni, congressi, storia e letteratura. Penso di dare con gli appiunti un contributo libero a favore della divulgazione e della cultura. Non durerà a lungo, in quanto l’età imperversa... ma farò in modo di resistere il più a lungo possibile, se vi piace!
La premessa è congrua con l’ultima presentazione di Massimo Bottura, personaggio e cuoco dell’anno, capace di dare corpo alla costituzione spontanea di una squadra capace di presentarsi con individualità dignitosamente orgogliose di se stesse e di ciascuno dei componenti.
Un obiettivo che, nei sei anni di Identità Golose, stenta ad essere riconosciuto come valore di cultura e orgoglio soltanto in Italia, ma che c’è.
Da indipendente e con poche decine di lettori, mi associo al “parlato” ( non è ancora “urlo”) di dolore nei confronti dell’atteggiamento sciovinista della stampa gastronomica italiana, capace di mettere in dubbio e di straparlare, ma non di misurarsi in gara di “empatia” che – ne sono sicuro – sostituirà il campanilismo personale, di ciascuno eroe nella propria torretta, e delle lobby di moda più che dei protagonisti della comunicazione di filiera. Devo ammettere che Italia a Tavola non fa parte di questo coro e che l’articolo del Presidente di Cuochi di Lombardia rappresenta un primo importante riconoscimento del valore aggiunto d’Identità Golose, scrive Matteo Scibillia “...ma la cosa che più mi preme sottolineare, che non so per quale motivo, ma noi ristoratori e cuochi in occasione di pochi eventi siamo capaci di fraternizzare come a Identità Golose. E ciò al di là di stili, tendenze o associazioni…”.
La lezione chiara e spontanea del personaggio che ha vestito, con la sua responsabilità diretta, l’abito del difensore della cultura italiana della gastronomia, Carlin Petrini, è molto chiara, ma è altrettanto tenuta al buio dai mass media. Sono felice che, indipendentemente da altri intendimenti, Identità e Slow food sentano l’appello “empatico” per costruzione di un’alleanza di propositi che non potrà essere altro che positiva. Occorre risvegliare l’anima della cultura gastronomica e dell’interesse al bene comune della società lombarda, padana, nazionale, europea. L’impegno assunto è volto a rilanciare soddisfazione con tutte le culture del mondo ed a rispondere alla domanda d’alimentazione del pianeta, per quanto possibile nel vivo appetito di piacere oltre che di nutrimento.
Ripieno del raviolo aperto Il raviolo aperto Uovo embrionale
Inno al raviolo aperto Siringare l’embrionale Gustare il raviolo
Il ricordo che ho di Massimo Bottura risale all’inizio degli anni 2000. Ne scoprii il talento su segnalazione dell’amica Delegata dell’AIC di Rio de Janeiro. Ne parlai con Paolo che mi confermò la sua valida creatività, al di là della tradizione modenese. Massimo non ebbe, come capita nel nostro paese, subito la riconoscenza della sua città, ma venne guardato con sospetto in quanto andava ben oltre il balsamico, le antiche ricette e la cucina del territorio nel suo La Francescana, fondato nel 1995. Nel 2000 uno dei piatti di riferimento era il “Filetto di maiale giovane con pancetta affumicata e lardo tradizionale con marmellata di cipolle all’aceto di lampone”. Un inno alla cucina di marca e all’imprinting di stile francese, mentre il piatto da non perdere era “Parmigiano reggiano in 3 diverse consistenze”, una ricerca fine di ricupero evolutivo della tradizione. Lo segnalai e misi in rosa dei candidati al titolo di Cuoco d’Italia a Campione che venne assegnato, quell’anno, con merito, a Mauro Uliassi. Oggi sono felice che siano amici. Hanno la forza di una vera passione, calda, da cotta imperitura per la cucina, per i sapori, per la ricerca per la sublimazione del gusto, uno con la musica, l’altro con la pittura, ma non solo...
Sul palco del congresso Massimo lascia che Valentino Marcatilli sintetizzi 40 anni di fama del suo raviolo con l’uovo aperto, che non è stanco di reiterare fedelmente in Italia e nel mondo, e che si è confrontato al Congresso con il raviolo all’uovo “embrionale” di Massimo, altrettanto delizia di fama più recente. “What’s that?” gli chiese un intervistatore in Inghilterra, a cui replicò “That is ‘embrionale’ with ragù!!!”. Era costruito con la sfoglia delle nonne che avevano la pasta pronta per il matterello ed il ragù a sobbollire nell’angolo meno caldo della cucina economica. Massimo imita la parte più ricercata della lasagna, quella che usciva dalla teglia come crosta croccante: la nonna voleva la lasagna condita con profumo di noce moscato, ma Massimo era per lasciarla senza altri sapori di spezia in quanto era già arricchita dagli aromi naturali dei parmigiani ricercati in casera!
Il suo carattere è questo, emiliano, italiano, stupefacente per gli inglesi e anche per il tecnologico in purezza Alain Ducasse, da cui è adorato.
Anche Filippo Chiappini Dattilo è parte della mia storia personale tra i candidati al premio Cuoco dell’Anno del casinò di Campione. Serio, aperto, distintamente professionale, Filippo è un “classico senza tempo che crea piatti come si trattasse di un servizio di copertina di Grand Gourmet d’antica memoria”. Così era presentato proprio a Identità Golose da A. Griffagnini per l’Antica Osteria del Teatro di Piacenza. Alla finale del 2001, la sua vittoria nella competizione era stata così segnalata nella mia accademica “Mangiarbere”:
“... Cuoco dell'anno è stato eletto Filippo Chiappini Dattilo, sinceramente commosso anche se non era alle prime esperienze di premi e riconoscimenti. Perché è stato scelto lui nella rosa dei meritevoli altri candidati? Mi ero posto la domanda in occasione dell'ultima riunione della Giuria, a sostegno della sua candidatura: caratteristica della missione della "accademia" è la divulgazione della tradizione. Eppure Cuoco dell'anno è anche cuoco emergente. Quindi giovane o appena emerso? Già maturo di tradizione o alla sua scoperta?
Segnalazioni ricevute, studi e stage, libri pubblicati, titolo di studio sono compresi tra le referenze dei candidati: quindi importante è la base culturale e la formazione stessa oltre che il gradimento espresso dai critici. Motivati dettagli su materie prime, stagionalità, rispetto della territorialità. I cuochi di nazionalità straniera cominciano a fare la coda alla ricerca di successo nella nostra cucina.
Questi sono solo spunti di riflessione. Con quali criteri scegliere il vincitore, attraverso la documentazione del suo successo sulla carta o sulla carriera? Resta la "fama" in Italia di cuochi italiani: tolta la prima dozzina di nomi (e non nello stesso ordine delle guide) è difficile il consenso sulle due o tre seconde dozzine. La scelta del cuoco dell'anno potrebbe in teoria emergere da questa fascia di apprezzamento attraverso una scatto, un episodio che nell'anno ne promuovesse appunto lo scatto. A volte non si è visto lo scatto dell'anno. A volte si è visto l'anno successivo.
Ritengo che in questa edizione siamo fortunati di avere nella rosa Filippo Chiappini Dattilo. Ebbene, essere chiamato da una compagnia aerea non in bancarotta (a questi tempi!) per scegliere, non è evento dell'anno di limitata importanza: la firma dei menu della Lufthansa è un cosiddetto "fiore all'occhiello". Libertà, quotidiano di Piacenza, nell'evidenziare l'evento lo scorso 18 ottobre riportava il commento di Filippo Chiappini Dattilo: "E' un impegno e una responsabilità enorme di cui vado fiero". Subito dopo aggiunge: "L'unica cosa che mi dispiace è di essere capitato in un momento "no" per il traffico aereo. Speriamo che con marzo aprile del prossimo anno tutto sia finito"... In prima classe e in business i trasvolatori con Lufthansa potranno scegliere fra una trentina di piatti ideati dalla creatività di Filippo Dattilo Chiappini la proposta "Chef Star" sui 747 della compagnia...”
Filippo Dattilo Chiappini - Il cuore per il Makisu - Dattilo corregge...
Al congresso del 2010 presenta “trota con foie gras”. Adornata da impronte di salsina di “prugne giapponesi sotto sale” e “shiso” (basilico rosso, Prilla red leaves *), agrumi, maki-sushi, fior di sale in salsa partecipano nella preparazione di foie grasso di pescatrice! Il fegato è cotto in terrina dopo una laboriosa marinatura con aromi e profumi oltre al tocco di Armagnac, inserito nel maki e avvolto con nori. Con un aperitivo di benvenuto è una chicca ampiamente di lusso e golosa! Per Filippo l’abbinamento ideale è con Malvasia del Colli Piacentini!
(*) Annuale. Ami il basilico? Prova quest’erba ricca d’aroma che è descritta simile a un curry, come una combinazione di cumino, cilantro, e prezzemolo con una punta di cinnamomo. Superba per sushi.
Cucina Slovena, primo attore Tomaz Kavicic
Tomaz Kavicic è una conoscenza d’Identità Golose di due anni fa, brillante ed estroverso, diventato nel frattempo anche amico di Massimo Bottura, da lui ha sfrenato spigliatezza ed allegria oltre che una lezione di fantasia, creatività, semplicità nella proposta portata all’attenzione curiosa del Congresso. Anticipata come “tavoletta di legno”, in successione temporale con la precedente esibizione della “tavoletta di sale”, dialoga come al bar con Stefano, orgogliosamente triestino, che si diverte tanto a fare un’intervista e scherzare amichevolmente su tutto, a cominciare dal buon bicchiere di vino offerto some se fossimo nella corte del suo ristorante, proprio tra amici. La moglie di Tomaz è italiana, friulana, carina e spontanea come lui. Anche nel periodo “rosso” godeva la libertà della trattoria di famiglia, in “gostilna”, dove si mangiava come nella campagna al di là del confine, a Vipava, su cui è facile accedere ad ogni notizia nel sito http://www.prilojzetu.com/it/.
Un piacevole filmato illustra l’introduzione a Lusso e semplicità. La terra slovena si mostra al pianeta con il 57% dei boschi, come la Svizzera. Sono protetti con leggi per il sostegno ambientale e per la conservazione naturale delle risorse, dalle acque ai frutti. Le immagini sono eloquenti, il commento è entusiastico! Il materiale protagonista nella natura boschiva non può essere altro che il “legno”, un materiale che costituisce l’introduzione a tutto, anche nella cucina. La dimostrazione scenica passa dalla proiezione visiva all’arredamento scenico. Tronchi che vanno a formare panche, gli appoggi per il tavolo e la scenografia di un’antica osteria di campagna, tutto è pronto per mangiare e bere. Siamo interamente a teatro con il favore di un incontro reale tra due anime, anche tra due bocche. Bocche rivolte al cibo e alla bevanda.
Con l’aggiunta di sale e foglie di quercia la piastra di legno che arriva in cucina diventa il piatto di portata e degustazione: sarà fatta dalla ricetta con l’aggiunta di acqua, sale e quercia per un buon brodo di manzo, ma non qualsiasi. La parte del manzo giovane sarà il filetto di un vitello di dieci mesi, viveva felice, nel lusso dei pascoli e nella semplicità campestre! Il legno è il faggio, inerte con il cibo, resistente alla temperatura... l’ho appena usato anche a casa, dalla Svizzera Francese, nella confezione di Mont blanc, formaggio d’Alpe da mettere a gratinare con pepe e Vin Jaune del Giura! Le tavolette sono semplici e funzionali, danno calore d’intimità solo alla vista.
La carne, saltata in padella con olio d’oliva doc sloveno è aromatizzato da noci e nocciole, sale e profumi, si adagia e si copre con coltre di foglie di quercia, adagiata nella tavola scavata di faggio, di cui una delle metà è bucata. Il forno è tenuto a 75° C e la cottura si termina quando il cuore del filetto raggiunge la temperatura di 57°C. Tomaz desidera che si assaggi la consistenza ed il sapore di bosco.
La scelta della carne è fondamentale. Ricordo dalla mia infanzia che le code di filetto erano la sostanza fondamentale per il tradizionale goulash dell’impero, nella tradizione dei nonni. Il mio, che nion ho mai visto altro che in fotografia militare, ha fatto la guerra mondiale dalla parte di Franz Joseph. Anche quello di Tomaz!
Va tenuto presente che sia negli antichi focolari, che sopra le borghesi cucine economiche, il recipiente dell’acqua calda era sempre pronto per un brodo, tutta la settimana. Tomaz aggiunge le foglie di quercia, mia nonna magari una strisciata di lato al prosciutto affumicato istriano prelevata dalla trave fuori dal fumo del camino. Preparata con la tovaglia impreziosita da un vero merletto tombolato della tradizione, ora la tavola ha anche “il lusso”! Tomaz ha portato tutto a Milano organizzandosi negli ultimissimi giorni, con la dedica firmata dall’amica che faceva sposare la figlia proprio la scorsa settimana. Anche il cuscino è con pizzo tombolato!
Tutto è caldissimo, si mangia dove si cuoce! Il contorno per la carne è solo costituito dalle verdure impiegate per fare il brodo, la quercia serve per dare un buongusto di tannino e aggiungersi come emozione aromatica alla qualità della carne! Il pranzo si completa con un dolce adatto alle tre stagioni: autunno, inverno e primavera. Più avanti completerà il menu con l’estate, perche solo dall’autunno ha servito il primo piatto di filetto alla quercia. Forse penserà di lasciarsi ispirare dalle spiagge di Pirano e di Portorose.
Mi strega ancora con quei posti dove, avendo già imparato a nuotare all’isola di San Niccolo di fronte a Parenzo, passai una vacanza estiva – l’ultima prima della grande guerra – proprio a Pirano e Portorose. Ricordo i primi pesciolini pescati alla lenza al molo del Grand Hotel, ancora sede di un casino frequentato da triestini e viennesi! L’appunto mi segnala: 1°, bicchiere di vino con gelato e boccali di mare con acqua... 2° ...echi e castagne con foglie... 3° Neve nel braciere... neve “fredda”... Era il servizio di dessert personalizzato stagione per stagione... Forse con fiori e miele!!! Il 4° resta in incubazione!
APPLAUSI A SCROSCIO!
Le presentazioni della Squadra della Slovenia sono corredabili da informazioni ai link seguenti segnalati dal Consolato di Milano:
Ente Sloveno per il Turismo (www.slovenia.info)
Tomaz Kavcic, Ristorante Pri Lojzetu – Palazzo Zemono, JRE Slo
Vesna e Gašper Carman, Ristorante Pri Danilu, JRE Slo,
www.pridanilu.com
Ana Roš – Casa Franko, JRE Slo,
Janez Bratovz – Ristorante JB
Accanto alla presentazione gastronomica, nello spazio espositivo, la Slovenia fa conoscere alcuni importanti produttori alimentari e vinicoli:
Saline di Pirano (www.soline.si), allevamento ittico Fonda Pirano (www.fonda.si), oleificio Kocbek (www.kocbek1929.com), Mlinotest, industria alimentare (www.mlinotest.si), Fattoria Maticin 1825 (www.kmetija-matic.com) e i vinicoltori:
Marjan Simčič (www.simcic.si), Aleš Kristančič – Movia (www.movia.si), Primož Lavrenčič – Sutor (www.sutor.si), Cantina vinicola Goriška Brda (www.klet-brda.com).
Continua Slovenia, nazione ospite d’onore
Appunti su Vesna e Gasper Carman: double minus is plus, ritorno alla primordialità, lezione in inglese. Il locale, che ha 10 anni di storia familiare, presenta due piatti semplici, a base di ingredienti popolari: uno è verdura, con la “rapa”, l’altro è pesce, con la “trota”, sostanza di carni di pesca, gustose, popolari nelle acque e a terra. Tutta famiglia collabora, la mamma in cucina, il capo attuale e presentatore dal 1981 affianca i genitori dopo avere cominciato il mestiere nel 1970.
Tra le preparazioni ci sono: rapa cotta con porridge, malto locale, amaro, fresco e contemporaneamente dolce per l’apporto di pere cotte in spumante bianco. La carne è bio, come ogni prodotto alimentare che cresce e nasce nelle colline. Si usa il fumo, moika, per un sentore popolare che va dall’Istria alle colline carsiche e piace tanto a Lubiana. Pentole e pignatte in ceramica consentono di cucinare stufati a temperatura quasi costante e bene distribuita.
Se le rape sono spesso ripiene di ricotta di pecora... anche il vino è importante ed è particolarmente amato dai locali e dai turisti austriaci che frequentano il territorio e che i Giovani Ristoratori sloveni cullano con soddisfazione.
Qualche difficoltà nella gestione dei tempi del congresso con i tempi di cottura non guasta comunque la presentazione: si assaggia anche il non cotto, ma si coglie lo spirito. Il pesce? I fiumi e torrenti sono acquari naturali di trote particolarmente pure e gustose, golosamente annaffiate da buon Terlano con bollicine e ceppi autoctoni sloveni. Eccellente infine “salsa di pere e spumante”. Troveremo bocconi alla festa a sera!
Un bel film testimonia il territorio dell’alto Isonzo, presentandone le acque da tutti i punti di vista: all’aperto fino a gole quasi sotterranee, Ana Ros ne è orgogliosamente padrona. Porta al congresso le pietre dell’Isonzo, sassi bianchi in purezza lisciati da acque trasparenti per un contatto fisico diretto. E’ una giovane chef molto colta, con 7 lingue pronte per comunicare con il visitatore del mondo, del pianeta, anche con tanti italiani. Presenta “L’acqua e il suo (in)canto”, perche s’ispira con la musica, prima durante e dopo la sua missione in cucina. Cucina è arte?
Se lo domanda la bionda Ana, dissertando tuttavia sulla qualità e sulla “natura fisico-chimica” degli stati della molecola, ma soprattutto è convinta che l’acqua è “cibo” per elezione. Senza acqua non c’è vita, in nessuna forma... L’elemento di cui vanta poesia, salute ed energia è il costituente principale del protagonista che ha scelto per la sua presentazione, la “trota”. Prepara un raviolo di patate, con profumi d’erba cipollina e altri ingredienti naturali legati anche con un po’ di colla di pesce. Penso proprio di trota... La personalizzazione?
In parte anche erbe naturali, anche esotiche, adatte alle acque dure o dolci con cui interagiscono attraverso i delicati processi di salificazione con durezze di Calcio e Magnesio! Le carni sono bollite in acque calcaree, dure: gli ioni di Ca e Mg estraggono aminoacidi con cui si legano liberando nei brodi la loro profonda gustosità...
La cucina diventa conoscenza e sapienza: il brodo di trota diventa - con raviolo e tostato di erba cipollina ed alghe – tanto sapientemente delicato da richiamare zuppe giapponesi a fine pasto per una sistemazione in delicatezza di tutti i ricettori sensoriali...
Bella e brava Ana Ros è un ‘eccellente ambasciatrice del suo territorio!
Enzo Lo Scalzo, ricorretto il 9 febbraio
La festa della Slovenia
Interessante rassegna di cucina alla festa, espressa dai 9 Jeuns Restorateurs
Antipasti freddi:
Leccalecca croccante Debeluch
Prosciutto di Vipacco Kraljestvo
Pane casereccio di grano saraceno e noci con
burro d’olio di zucca Rajh
Crema di pistacchio e cocco con gelato alle
cozze e ostriche con scaglie di patate JB
Dal mare alla bocca Apolonia
Tartare di branzino di Pirano con finocchio,
olio alle erbe affumicato e olive candite Kempinski Palace
Huco marinato con purea di Navone Grad Otocec
Trota di Kanomilja su polenta di frumento e
patate Kendov Dvofrek
My mini-mac-micro hambureger di potizza,
terrina di fegato grasso al whiskey, branzino
affumicato e pera croccante Hisa Franko
Primi piatti
Vellutata di ostriche e zafferano con bottarga Pikol
Struccoli di ricotta con carote e spugnole Grad Otocec
Ravioli di farro con tartufo, spuma di parmigiano,
e melograno Kempinski Palace
Cappelletto al formaggio Mlinotest con radicchio
rosso Debeluh
Salam, pera, formaggio e portellone Barone Kralijetsvo
Pfarski bati con spezzatino d’agnello d’Idria Kendov Dvorek
Gnocco di cipolla con carciofo, ricotta affumicata,
rapa fresca e polenta rossa abbrustolita JB
Capasanta affumicata su rucola giovane con
Grissini alla seppia, limone marinato e salsa di
Peperoni Kempinski Palace
Moscardino con riso croccante cotto in latte e
Ricotta carsica stagionata Pikol
Secondi piatti
Brodetto istriano di canocchie con polenta di
basilico Kempinski Palace
Goulasch a cannuccia Pri Lojzetu
Zuppa d’Orzo dell’Alta Carniola Pri Danilu
Pappa di miglio in verza con salsiccia della
Carniola Rakar
Zlikrofi della casa Kendor Dvorek
Vitello di latte dell’alta Carniola con fior di
sale di Pirano e formaggio del monte Nanos Brioni
Coscia di manzo stagionata su patate croccanti.
con rafano e cipolla fritta Grad Otocec
Dolci
Gelée di vino cvicek con pera di Pleterje Grad Otocec
Composta di fragole in vino spumante Movia
con vaniglia Brioni
Torta alla zucca Rajh
Pasticcino alla crema in bicchiere Kempinski Palace
Potizza 2010 Apolonia
Biscotto alle noci Pri Loyzetu
Potizza al dragoncello in ciotola Rakar
Struccolo alla frutta con crema di cannella Pri Danilu
Struccoli dolci di Hana Kendov Dvorek
Dolce barbabietola Hisa Franko
Sable breton al ciccolato di Guanaja di Valrhona
con crema Chiboust, caramello e fior di sale di
Pirano Kempinski Palace
VINI
Cantine vinicole Movia Alex Kristancic
Cantine vinicole Simcic Marjian Simcic
Cantine vinicole Sutor Primoz Lavrencic
Cantine vinicole Goriska Goriska Brda
Cantine vinicole Stayer Danilo Stayer
Cantine vinicole Matic Danilo Jezersek
Scelta d’elite segnalata da amici affidabili
Il cinque stelle, relais chateau Kendov dvorec risale alla remota proprietà del 1377 della fattoria sopra la valle del fiume Idrija. La famiglia dei Kenda inizia la promozione della località fondata dal 1156 protetta dalla chiesa parrocchiale della Madonna sulla Scalca (roccia). Stanze di giornata e da pranzo al piano terreno, con cucina e focolare nero, salotti e ambiente sono autenticamente fedeli al tempo. I piatti sono preparati si antiche ricette. I vini sloveni selezionati ne rinforzano l’eccellenza.
Al primo piano undici stanze sono arredate con mobili del XIX secolo. Tovaglie, tendaggi e corredo sono impreziositi dai merletti d’Idrija fatti a mano sul tombolo.
La vite è presente nella valle da almeno 1500 anni. Il vino maturava in profonde cantine sotterranee (“hrami”) e si beveva nel territorio istriano ma anche in tutto l’impero. Sulle cime dei colli le viti sono affiancate a frutteti. Ciliegie, pesche , albicocche, prugne colorano le valli con delicati fiori di primavera. Al sole del tardo autunno si stagliano isolati alberi di cachi con il tipici frutti colore arancione. La cucina è “semplice” ma “interessante”, a volte anche inserita nel “lusso” della storia. Il ciclo vitale della natura e le tradizioni secolari, le frazioni medioevali sanno accogliere i visitatori inserendoli con facilità nell’atmosfera di una festa mitteleuropea di radici imperiali.
Enzo Lo Scalzo
ASA-press Lombardia – 8 febbraio ’10