EVENTI

UN AMBIENTE DI CAMPAGNA
"Fiera Millenaria 2005" di Mantova, una rassegna molto importante per orientarsi meglio sul piano delle novità produttive, sulla qualità della merce e sul gradimento degli spettacoli.

L’evento “fiera millenaria” ha luogo, come si sa, durante la prima settimana di ogni settembre, per la durata di nove giorni: dal sabato precedente la prima domenica alla seconda, in coincidenza con la ricorrenza della Natività della Madonna. La popolazione che vive a cavallo del confine tra la Lombardia e l’Emilia ne tiene conto per parecchio tempo, sia prima sia dopo. Per gli acquisti, dopo averli rimandati, si compie anche più di un giro sulla Fiera ricercando informazioni, operando confronti e valutando le varie convenienze. La Fiera è un punto al quale ci si arriva mettendo insieme molteplici esigenze, nel quale ci si sofferma decidendo se vi sono le opportunità per scegliere oppure rinviare. In ogni modo, è un appuntamento atteso anche per la sola curiosità e conoscenza.
Con alle spalle una rassegna così importante, ci si orienta meglio sul piano delle novità produttive, sulla qualità della merce e sul gradimento degli spettacoli. Rientra nella biologia umana di intere generazioni. Sarebbe colpevolmente superficiale considerare la Millenaria un pur rilevante episodio commerciale, da collocare tra la data d’inizio e di chiusura senza riconoscere un retroterra veramente complesso che è invece la sua ricchezza.
La dimensione più curata, fra l’altro quella originale, consiste nell’affrontare le questioni agricole: dal mercato alla tecnologia, dalla cultura alla politica, in situazioni spesso difficili come quelle dell’attuale annata agraria, il seguito di altre da dimenticare. Per invertire la tendenza, sarebbe utile recuperare un’adeguata rappresentanza politica degli interessi agricoli, da tempo latitante. Questo potrebbe essere il compito della Millenaria 2005.
Il problema è urgente e noto se anche nel suo ultimo libro “L’agricoltura in Italia – Dalla riforma agraria alla crisi della Parmalat” (editrice il Mulino), il prof. Roberto Fanfani scrive nelle conclusioni: “… A tutto ciò si aggiunge una crisi di rappresentanza degli interessi degli agricoltori, che alimenta interessi particolari di gruppi, che spesso si traduce in un’evidente crisi di progettualità nella politica nazionale e regionale. …”. A questa situazione, si accompagna conseguentemente un andamento di mercato di forte penalizzazione dei prezzi agricoli alla produzione.
Il problema, quindi, non è costituito dalla fertilità dei terreni, dalle capacità di lavoro degli agricoltori, dalla qualità dei prodotti agricoli, dalla cultura delle campagne, che esistono e sono esistite in abbondanza, ma da un incerto futuro, se il mercato desertificherà l’ambiente agricolo.
E un costo rilevante è dato, appunto, dalla latitanza della rappresentanza agricola. Si rimane stupiti quando si pensa ai ministeri, agli assessorati di ben tre livelli (regionale, provinciale e comunale), all’ente camerale, alle organizzazioni sindacali, cooperative e consortili, alle varie associazioni tecniche e di prodotto, ad altre forme di intervento ed alla cosiddetta concertazione. Ci si trova di fronte ad una folla di personaggi e di strutture che vivono di autoreferenzialità. Si assiste ad una moltiplicazione di tavoli verdi, di congressi, di convegni, di assemblee, di dibattiti, di commissioni, di gruppi di lavoro, di riunioni da interprofessionali a parapubbliche. A volte pare di trovarsi di fronte ad una trottola che gira su se stessa. E poi, bozze, pro-memoria, appunti, documenti, interviste, comunicati, TV e giornali, interminabili e frenetiche comunicazioni telefoniche. Tutti processi corretti – sono le forme della vita moderna – se modificassero a favore dell’agricoltura il rapporto di forza, ma se ciò non avviene, se la misura è sempre deficitaria, allora si tratta di burocrazia, di rituali e di presenzialismo: un’ideologia devastante! Sono insufficienti, in relazione all’attuale società, gli impegni di ricerca, di studio, di osservazione e di capacità di rischio.
A proposito di rischio e di mercato, si sostiene la concentrazione e la competitività delle attività agricole, pur in assenza della gestione diretta del prodotto. E’ un beneficio per le controparti (industriale e commerciale), le quali si avvantaggiano degli ulteriori margini economici delle aziende agricole, mentre i consumatori continueranno a pagare i beni agroalimentari in base al marchio e non al reale costo del contenuto.
Non per opporre il piccolo al grosso, ma per rilevare come la realtà e le capacità siano diversificate: nel comprensorio mantovano del formaggio parmigiano-reggiano, i pochi soci di un caseificio che trasforma 21.000 q.li di latte hanno conseguito, per la scorsa annata agraria, un prezzo del latte al q.le di 90.000 lire, superiore alla media; un coltivatore con famiglia realizza il suo reddito in una piccola azienda di otto bm, con vigneto, frutta e vendite dirette. Il vissuto agricolo è fortunatamente variegato e spesso trova soluzioni in un ambiente reso difficile da frequenti atti di omissione.
Ecco, se durante la Millenaria si cogliesse qualche nota critica, sarebbe un bel passo avanti.

Sergio Minelli

L'articolo è stato pubblicato su La Cronaca di Mantova n.34 di venerdì 3.9.2005.