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Secondo menù: cucinare in famiglia...
IDENTITA’ GOLOSE – 30 GENNAIO

Corrado Assenza del Caffèì Sicilia di Noto presenta suo figlio Francesco, ancora liceale.
Aveva ricevuto in apertura di congresso il premio “Pasticcere dell’anno” dal Consorzio per la tutela dell’Asti spumante, con l’aperto consenso non solo di Paolo Marchi che lo classifica miglior pasticcere d’Italia, “capace d’interpretare i dolci della sua Sicilia senza mai imboccare scorciatoie che ne invecchierebbero le qualità organolettiche...”

E’ quasi un’implicita domanda di perdono del Regno di Savoia per avere avvinto la Sicilia con il sogno del Regno d’Italia, senza poi convincerla, quando altri sogni perdutisi nel grigiore della storia ne avevano fatto un territorio dimenticato: era stato considerato per millenni meta di felici residenze per i potenti del mondo classico, e le sue bellezze devastate da invasioni e dal tempo erano tesori non sempre conservati con amore ricordato amaramente nelle colonie di emigrazione

Asti Spumante gli riconosce ufficialmente il merito di essere diventato “il punto di riferimento del panorama enogastronomico italiano”, capace di offrire occasione di rimettere in luce le caratteristiche di un grande prodotto, capace di nascere in un territorio unico, generato da uve italiane come il Moscato sa essere in tante sue accezioni, ma soprattutto in quella della nicchia piemontese che si sposa “perfettamente con la pasticceria e i dessert”.

La competizione in dolcezza èì aperta. Aperta anche la dolcezza dell’eredità che la famiglia Alajmo ha lasciato a Massimo, uno dei più giovani tristellati, denominato “Mozart dei fornelli”. Paolo ne definisce la cucina “scherzosa, ma anche piena di anima perché l’autore gioca di continuo con materie prime, cotture, abbinamenti... e lascia che spunti sempre un dettaglio che non ti aspetti, il tocco del futuro”. Mamma Rita, alla domanda “Quale consiglio, a tu per tu, darebbe a suo figlio?” dopo una breve riflessione di chiarimento al “quando” concessagli dalla precisazione “adesso, così com’èì...” non ha avuto dubbi: “... di continuare così!”. L’applauso fragoroso le ha dato ragione e Massimo d’ora in avanti si sentirà ancor più caricato dalla responsabilità di estendere le sue ambizioni ben al di là del ripieno di un raviolo marinaro... e delle consistenze di sensazioni gelatinose.

Costellazione eccezionale della famiglia in cucina, i Santini si sono presentati a ranghi ben folti, lasciando in panchina, ai fornelli di casa, la nonna ed il più giovane erede, ma c’erano Giovanni, Nadia ed anche papa Antonio. Alla dolcezza riflessiva di Nadia si accompagna la consapevolezza di Giovanni di avere aggiornato a pieni voti la cultura scientifica dell’alimentazione già bene assimilata e messa in atto dalla cucina alla tavola, con fiduciosa attenzione ed amore per gli ospiti.

Nadia, ma con lei tutta la famiglia, compresa la nonna, dimostrano da decenni quanto la ristorazione possa essere una missione, missione di rispetto per il cliente, per la natura, per il gusto, per la salute, per la storia, per la sensibilità di ogni cittadino di questo mondo. “Creare un rapporto che va a toccare l’anima dell’invitato a tavola èì sensazione che si riscontra solo a tavola, soprattutto quando si trasmette etica e professionalità per ricevere apprezzamento e stima”. Nadia l’ha detto con parole più appropriate, personali e toccanti, perché non solo esprimono una sua convinzione, ma addirittura lo scopo della sua missione, di mamma. cuoca, moglie.

Giovanni ha sostenuto il concetto ammettendo che “mamma, nonna e papà mi hanno suggerito di viaggiare, di conoscere il mondo, di frequentare l’ambiente del mio futuro, cuochi di tutti i posti: ho imparato ad accogliere il cliente a braccia aperte... Con mio fratello Alberto crediamo nei valori della strada iniziata dai nonni e proseguita da papà e mamma...”.

Una collega inglese, al momento dell’arrivederci al prossimo anno, ha sottolineato l’enorme valore guadagnato dall’assistere a queste due giornate di congresso. Non solo professionalmente per una ribalta senza fronzoli ma ricca di contenuti dei relatori chef invitati ma anche dalla testimonianza di umana importanza della mattina in “famiglia” colta, nonostante le difficoltà intrinseche della simultanea, dalla spontaneità dei racconti e dall’umiltà delle relazioni tra i protagonisti ed il pubblico. Famiglie come i Santini, gli Alajmo, i Troisgros sono rare in un mondo assatanato da corse alla ricchezza dove l’egoismo personale tende a dominare, forse, i protagonisti più deboli. Il rapporto di cordialità e di voglia di partecipare di collaboratori e clienti, le esperienze imparate o ricercate nella storia e nella creatività di un’evoluzione gentile e fondata su principi sani di “valore” sono emerse anche in altre occasioni, ma in questa occasione l’intensità èì stata ascoltata con grande emozione dalla bocca del cratere del palco alla Sala delle Grida.

Prima del commiato, un dilemma si èì presentato a dare la misura delle genuine divergenze nella professione tra le tre generazioni dei Santini: il “cotechino”. La tendenza alla scomparsa delle preparazioni artigianali nel territorio pone alternative senza vie di fuga: perseguire alla ricerca dell’artigianale composizione e consistenza del “cotechino del territorio” che richiede cotture e presentazioni forse non più affini all’educazione gastronomica di chi non li avesse già recepiti quali esempi indelebili dalla memoria del gusto, o riprogettare lo stesso “cotechino”, la sua composizione, cottura, presentazione, innovando nel gusto ma perdendo la verità della tradizione?
Gli amanti di quel paradiso di emozioni, rapporti sensoriali, profumi, amabilità di rapporto con questa umile preparazione del maiale sanno quanto si tratti di un esempio calzante. Agli altri va raccontato, comunicato, spiegato, come un sogno del passato o come un’esperienza ancora sensoriamente fruibile?

Il tema resta aperto... Anzi , èì tanto aperto che la coppia francese di famiglia, papà e figlio, il sommo Chef Pierre Troisgros e Michel lo propongono subito di seguito. Il famoso “Saumon à l’oseille” di papà Pierre degli anni trenta e la sua evoluzione storica fino ai giorni nostri o la rivisitazione rispettosa di chef Michel nella selezione degli ingredienti di sostanza ma snella e lineare nell’esecuzione, presentazione e insieme di gusto resa attuabile dalla tecnologia alimentare di cucina sono un’evoluzione o una rottura con la tradizione?

Una meticolosa ricostruzione dei due percorsi fatta in cucina èì stata occasione di apprendimento non solo ancora valido ma anche di garbato dibattito tra padre e figlio.
I concetti di fondo sia nella personalità di “Chef” che nella convinzione di volere essere professionisti di riferimento e di rango non consentono di trascurare incertezze o imprecisioni: nei dettagli di realizzabilità di un effetto, sia per ragioni pratiche che teoriche a volte legato ad interventi di fattori esterni non sempre dominabili (nella storia: pentole di ferro e necessità di grassi di cottura, avvento dei rivestimenti a base di “teflon”, facilità e riproducibilità di cotture al vapore, uso di creme ad alto contenuto calorico e grasso, strumenti di presentazione e di pre-confezionamento pratici, ecc..) si arriva alla misura ed al confronto con il gusto del momento storico.

Oggi èì di scena Michel, ma Pierre resta sempre grande. Gualtiero Marchesi, di generazione intermedia, finalmente sul palco di Identità Golose, confermerà il risultato dell’evoluzione generazionale: quando capì che il suo periodo di apprendistato nella squadra di Pierre era giunto alla sua conclusione, alla domanda del maestro che desiderava capire perchèì interrompesse la sua collaborazione rispose: “Perché ho capito!”... e ribattèì, alla richiesta di precisazione, “Cosa hai capito?”... “Vedrà, Chef!!”. Tornò in Italia e da Bonvesin della Riva iniziò da Milano l’era della cucina moderna...

Pierre non si era reso conto che il suo “discepolo” sarebbe diventato “maestro” anche del nuovo in una nazione dove èì difficile che emerga una “scuola di gruppo” ma si assiste da secoli alla competizione dei “singoli”.

Passo e rimando alla terza puntata l’esperienza nel laboratorio franco-orientale di dolci che ha arricchito questo congresso nella Sala B a cui dedico il pomeriggio.
E’ una incantevole scoperta di Identità Golose, che non mancherà di fare epoca.

Enzo Lo Scalzo
30 gennaio 2007