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IDENTITA’ GOLOSE – 28 GENNAIO

Ho perso l’apertura del Congresso: giunto in ritardo nella Sala delle Grida mi sono perso Davide Scabin: ho colto solo l’eco lontano degli applausi dalle strutture di servizio del Mezzanotte.
Carlo Cracco anticipa il suo ingresso nel Vulcano per raccontare di Venere nel suo mare di riso, anzi proprio mare e non brodo di riso, perché il suo mezzo è proprio a base di acqua e sale, ma ricco di profumi. Venere, trattata a parte, arriva subito a conferire quel senso di esotico sensuale che si unirà al coro marino dei sapori che saranno assorbiti dal riso italiano: acciuga temperata con gelée, eccitatazione da pepe di Sechuan, zenzero, altri aromi di pomodorini assolati. Altri delicati tocchi da maestro diluiscono i neri chicchi di Venere che sprigiona la sua forza persistentemente collocata nel chicco integro. nero come la seppia.

Carlo ha ricordato i primi due giorni dell’esordio al nuovo Peck, intimorendosi di Milano, delle osservazioni di alcuni critici, tra cui Paolo, preparandosi ad un martirio certamente non atteso invece che a manifestazioni trionfali di accoglienza. Peck aveva rappresentato un problema da risolvere: la culla della gastronomia milanese doveva trovare un angelo protettore ed aveva scelto Carlo Cracco.

Oggi può sorridere e guardare dal ponte l’acqua passata con la sapienza della certezza e della consapevolezza di essere stato non solo accettato, non solo spontaneamente riconosciuto come angelo salvatore, ma eletto nel trono dei grandi, dei più grandi. Carlo ha definito la ricerca del gusto “ pratica quotidiana” più che “ricerca”. I piatti del programma si devono alternare a piatti d’innovazione di prodotto e di concetto, di sapori e di consistenze. Tutti i giorni. In media due ore al giorno. Milano è esigente, tutti si aspettano esperienze sempre in evoluzione... Per questo corre alla fine della sua lezione al Cracco Peck, a poche centinaia di metri, per sentire sempre più la parte di se stesso impegnata lungo un cammino senza facili discese.

Non più le insalate russe del banco delle tradizioni di Peck, ma quella insalata incredibile delle nuove evoluzioni, con arie, cialde abbellite al cannello e guarnizioni di tartufo nero... Un sogno per l’inizio del viaggio alla sua tavola.

La lezione apre la strada ad un Ferran Adria vulcanico, anche se a voce mozzata: apre con considerazioni molto coraggiose sulla cucina del pesce in Europa, criticandone usanze e abitudini poco coerenti con le nozioni di processi di cottura. Non credo che si tratti di giustificare solo una predilezione per le tecnologie e la ricerca di processo per il suo spettacolo. Gli effetti sulla formazione del gusto, sull’esperienza diretta di sensazioni percepite per breve o lungo tempo non sarebbero state possibili. E’ maestro d’arte gastronomica che gioca con tutte le sensazioni, per ogni momento e cercando di toccare tutte le corde.

Gli piace comunicare. Brillante è la soluzione della conservazione delle acque di coltura delle navajas o cannolicchi o capelonghe con una sequenza di tempi e passaggi fondamentali per il mantenimento del profumo di mare. Tecnicamente perfetta la dimostrazione delle fasi e dei componenti della cottura del granchio, dal vivo ai componenti sezionati fino all’accesso alla sua complessa composizione viscerale, che serba sapori all’apice dell’intensità marina.
Le chele... un trattamento che ne sacrifica la forma e la forza ma che facilita il rapporto con la loro intima consistenza e dolcezza.

La composizione al piatto diventa mosaico, scultura: ciascun elemento convive con se stesso e con l’insieme, in un carosello dinamico di invenzioni, di finte, di verità. Con la freddezza dell’ ingegnere, ma arricchito da espressioni leggere che richiamano Pindaro, il suo mare, altri mari spumeggianti e delicati nell’accogliere uova di ogni genere, di ogni colore, di ogni forma e dimensione. Vere e false, a volte care come quelle vere degli storioni più antichi...

Segue un Massimo Bottura pimpante: anche lui si pone alla testa della tecnologia cucinaria, cercando di giustificare lo sviluppo della cucina tradizionale con lo sviluppo delle tecniche e pertanto con qualche modifica di sapori.
Presenta ricette di sfida: aole in carpione atipico, zuppa di pesce che esalta trasparenze, bollito di mare che esce da concetti di forma e di contenuto.
Non si sente dietro ai campioni del mondo in queste fantasie tecnologiche anche se non arriva alla proiezione di veri impianti pilota per la prototipazione di primizie gustose. Paolini cercherà di metterne in rilevo il filo conduttore, ma Massimo non si scompone nel rivendicare una tenace volontà di perseguire le vie dell’innovazione e dei suoi progetti.

Paolo Lopriore con serenità è chiuso a monte dalla imponente personalità dei relatori che lo hanno preceduto: racconta il suo mare legato al territorio toscano. Non è tuttavia nè a Viareggio nè aCastiglioncello, nè in Maremma o nell’arcipelago: è il mare che si coglie a Siena, dove è nato, che si mischia con la terra, con i funghi di bosco, porcini, con il “toscano” nel senso del “tabacco del...”.
Si aiuta con alghe frullate, gelatine marine iniettate nei ravioli, crema di nocciole e ricci che partecipano a conferire una dolcezza difficile. Gusto di mare in terra. Ricordo concetti di questo genere nel primo Marchesi di Erbusco.

Ciccio Sultano irrompe con la voglia di annunciare la sua spontaneità solare: è orgoglioso di essere siciliano e chi ne sceglie la sua cucina deve sentirsi pienamente in Sicilia. L’impressione conferma che il tentativo è riuscito: i protagonisti dei suoi racconti sono la cernia, la spatola, il pesce spada.
L’apertura con un cortometraggio senza mezze misure di suoni ed immagini solari, inneggia alle verità di una terra con radici di baroni e di gente spesso allo sbando, fino alla magra alimentazione con pasta e frutta secca...
Ciccio è emerso dal vulcano della scenografia ricco di verve oratoria e promesse gustose con la forza dell’Etna: le immagini delle preparazioni eseguite dai suoi assistenti si sono fatte incalzanti, precise, senza ricerca di effetti ma solo di essenza. La cucina di alcune decine di metri quadri aveva l’aria di una cucina tradizionale e non di un laboratorio spaziale. Timo, aglio, moddricata ricca e moddricata popolare, bottarghe di ricciola, pomodori, origano, gridavano forte “mangio come se fossi dove sono”.
Dalla favolosa presentazione del pesce spada di un filmato d’epoca in cui primeggiava il rais sul palo di vedetta e il timoniere su quello di poppa nasceva la voglia di applausi per la sua cucina NORMALE, colorata, suadente: veniva voglia di andarsela a gustare.

Moreno Cedroni ha riportato la serenità della calma adriatica dopo la tempesta siciliana. Anche nelle Marche il mare fa timore, non mancano tempeste violente, impensabili a prima vista in quell’angolo di Senigallia, accarezzata dal mare e guarnita dalle pendici dolci dell’Appennino che lascia intravedere profonde vallate che si perdono nelle foreste ricche di varietà... che con il mare hanno poca confidenza. Moreno ha presentato sue idee anche nell’altra sessione e lo sentiremo ulteriormente nei prossimi giorni su temi d’interesse critico, quali cosa fare del problema del “anisakis” e delle direttive guida per il trattamento del pescato fresco che si sta imponendo anche in termini di sicurezza alimentare. Cedroni è maestro di crudo e di consistenze di cui continua a perseguire esperienze, prima e dopo la cottura per cogliere l’attimo fuggente del meglio nel durante.
Inoltre non manca di nascondere una predilezione nella ricerca d’effetti sensuali nella gustosità... che rivedremo in un’altra puntata.

Il compagno di spiaggia Mauro Uliassi completa questa carrellata di grandi specialisti di Identità Golose del mare. L’anno scorso aveva scelto di stupire l’ampia platea con un accostamenti della sua cucina con i suoni di una serie di strumenti musicali fino alla composizione di un poemetto musicale.
Quest’anno ha stupito per la dinamica presentazione di una serie di piatti nuovi di grande promessa per il massimo divertimento del gusto, verificato anche in sala delle grida con sapori di alcuni particolari esempi offerti al pubblico.
Citare la serie di piatti e procedure senza dare spazio ai dettagli significherebbe tarpare gli effetti che abbiamo cercato di condividere con il lettore: è stato un feeling generale espresso con grandi applausi, anche ad ora tarda. Per questo lo rimando alla prossima puntata, in quanto voglio anche rivedere le immagini nonostante la rapidità delle riprese proprio per ravvivare o ricordi o dettagli sfuìggiti alle impressioni delle descrizioni... annotate...

Alla prossima...

Enzo Lo Scalzo

La cozza ricomposta di Carlo Cracco: il mare in bocca...