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Cavour, genio, seduttore, gourmet
La mostra a Palazzo Cavour – Torino dal 26 marzo al 26 giugno 2011

Anche la gastronomia fa il 150° dell’Unità d’Italia e se è abbinata a Camillo Benso Conte di Cavour, alla tavola e alla seduzione, mi viene da pensare che i politici dell’Italia risorgimentale non si sono certo privati dei piaceri della buona tavola e del fascino femminile.
E’ risaputo che a tavola e a letto nascono le complicità e le collaborazioni tra le nazioni, ma se penso a Cavour che si alza dal talamo dei piaceri e rivestendosi urla “Sto unendo l’Italia”... mi viene da sorridere!
E’ anche storica la frase “Oggi abbiamo fatto la storia e adesso andiamo a mangiare”, ma abbinarla al patriottismo di molti italiani partiti dal Nord e Centro Italia e andati a morire mi sembra fuori luogo, visto che mentre lo diceva accingendosi a riempirsi la pancia tanti poveri giovani stavano morendo in una terra lontana e ostile: la storia è storia, ma a volte sarebbe meglio non sapere certe frasi... seppure storiche.
Lasciamo da parte il ricordo di quei giovani, spesso ancora bambini, che stavano morendo, immolati in nome del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, e simili a tanti altri eroi caduti in ogni guerra per la Patria, la Libertà, o un Ideale, qualunque sia, stringendo nel pugno la terra rossa del loro sangue, l’erba verde dei prati o le nevi delle nostre montagne: quei colori che hanno composto la nostra bandiera ferita, stracciata, bruciata, calpestata.
Siamo a Torino, prima Capitale d’Italia, la città dove si è fatta l’Italia al canto di “Va Pensiero”, il coro che Giuseppe Verdi fa cantare nel Nabucco al popolo Ebreo schiavo di Nabuccodonosor, e adottato dai patrioti del Nord Italia che, oppressi, lo cantavano per esprimere la loro voglia di libertà dalla dominazione austriaca, e che fu tra i primi inni rivoluzionari italiani, come “La bandiera tricolore”, “Inno a Garibaldi”, “La stella dei soldati”, “L’addio del volontario toscano”, e tante altre note o sconosciute, ma nelle cerimonie per i 150 anni non sempre importa di queste pagine di storia e il dialogo perde l’essenza storica e tutti si domandano... cosa mangiava Cavour!
Ricordiamo la morte dei Patrioti con sfarzi, feste e divertimenti: io la ricordo con il Pensiero rivolto a Loro, ricordando quei canti, tanti giovani caduti in battaglia e senza dimenticare anche le molte eroine “Garibaldine”, sepolte in qualche angolo sconosciuto e dimenticate, senza onore né gloria, come Colomba Antonietti, Tonina Marinelli, Antonietta Porzi, e con il silenzio rotto solo dai miei scritti e dal loro canto di Libertà che mi giunge come un eco infinito!
Riprendiamo il viaggio lasciando la storia di com’è nata l’Unità d’Italia e torniamo alle Celebrazioni.

Camillo Benso conte di Cavour non fu solo un abile statista, indiscusso protagonista della storia d’Italia, ma anche un raffinato gourmet, come riporta la locandina dell’evento a lui dedicato, ricordando la celebre frase: “Cattura più amici la mensa che la mente”, e aggiungendo che il padre esclamò: “ Mio figlio è un ben curioso tipo. Anzitutto ha così onorato la mensa: grossa scodella di zuppa, due belle cotolette, un piatto di lesso, un beccaccino, riso, patate, fagiolini, uva e caffè. Non c’è stato modo di fargli mangiar altro!”.
Dai menu dei pranzi del Risorgimento sono state selezionate le portate e i piatti più significativi e scopriamo che prima del pranzo veniva offerto agli ospiti il tipico Vermouth torinese molto apprezzato anche da Vittorio Emanuele II che lo gradì per quel “punt e mes” (dialetto torinese, “punto e mezzo”), come definì quel sapore di amaro che aveva in più e diede poi il nome alla bevanda decretando il successo del “Vermouth con China Carpano” ribattezzato “Punt e Mes”, che divenne l’Aperitivo Ufficiale di Corte.
Il successo fu enorme, tanto che la bottega dal 1840 al 1844, per soddisfare le richieste fu costretta a lavorare senza sosta.
La mostra rievoca l’atmosfera risorgimentale: i visitatori diventeranno gli ospiti di un ricevimento del Conte di Cavour, per una cena a palazzo nei giorni che festeggiarono l’Unità d’Italia. Per l’occasione i castelli piemontesi saranno arredati con prestiti da musei, palazzi e collezioni private. Il salone da ballo, il salotto dei giochi di società, lo studio di Cavour, la camera da pranzo dedicata ai momenti conviviali con l’Imperatore francese Napoleone III, un boudoir dedicato alla bellissima Contessa di Castiglione, tutto sarà autentico, dell’epoca in cui si fece l’Unità d’Italia.
Il percorso di visita proseguirà con una suggestiva passeggiata per le vie della città fra le botteghe dell’epoca, offrendo il ritratto più autentico della vita alla corte Risorgimentale.
Ma i ghiottoni erranti, che apprezzano non solo la visione di prelibatezze attraverso i vetri delle vetrine, faranno virtù delle famose parole di Oscar Wilde “So resistere a tutto tranne che alle tentazioni” e cederanno alle tentazioni, indubbiamente “provocati”, e si lasceranno trascinare dai piaceri della tavola, o meglio... dalla lista delle vivande delle cene risorgimentali che prevedono un Menù pantagruelico:
Aperitivo “Punt & Mes” e salatini tricolore
Asparagi della tenuta di Santena con ovette di quaglia e Parmigiano
Cocotte di riso delle risaie di Leri
Agnolotti Piemontesi alla Cavour
Bocconcini di faraona in umido con finitura “alla Cavour” e ratatouille di verdure
Cestinetto di gelato “Arlecchin” con gocce di Rosolio e canestrelli reali
Caffè
Vini :Vino bianco Arneis, Vino rosso Nebbiolo, Su richiesta Barolo o Barbaresco.
Il pranzo si apre con gli -Hors d’Oeuvres-, deliziosi stuzzichini per gli aperitivi, che all’epoca venivano offerti prima del pranzo, creati da Giovanni Vialardi, aiutante capocuoco e pasticcere di Casa Savoia.
Va ricordato che nel 1800 gli asparagi erano molto apprezzati, specie da Cavour, che li mangiava accompagnati con uova cotte al tegamino con lo strutto. L’asparago di Santena (TO) è uno dei tipici prodotti piemontesi.
Come “Entreé” per questa rievocazione la scelta è andata al piatto preferito da Cavour: riso, condito con burro e parmigiano, con pezzetti di pomodoro saltati in padella e uova frittellate. Per sposare gli ingredienti la pietanza era passata in forno per alcuni minuti e servita irrorata con sugo di arrosto ristretto.
Il ripieno degli agnolotti prevede: salsiccia, cervella, arrosto di vitello, stufato di manzo, uova, noce moscata, abbondante parmigiano grattugiato e foglie di scarola lessate.
La portata principale è tradizionalmente costituita da piatti di carne arrosto o brasata con guarnitura di verdure e rispecchia uno dei piatti piemontesi preferiti di Cavour e dai nobili dell’800, la “Finanziera”, un piatto povero trasformato dal Vialardi in “ragout à la Financière”. In questa ricostruzione il raffinato intingolo viene proposto in una moderna versione più adattata ai gusti moderni, a base di faraona.
La tradizione francese è rappresentata dal dessert, il dolce al cucchiaio, accompagnato da pasticceria mignon le cui dimensioni ricordano le tipiche “mignonnerie” femminili: con la diffusione dei caffè e dei salotti mondani, dall’800 vennero frequentati per la prima volta anche dalle dame e per favorire la clientela femminile, evitando sgradevoli inconvenienti provocati dai più voluminosi pasticcini in uso, vennero creati dei bignè di piccolo formato.
Già dal 1600 i Savoia furono gli unici europei a non applicare forti dazi ai prodotti coloniali (zucchero, cacao, tè e caffè), e questo favorì il consumo del cioccolato e dei dolci anche alle classi meno agiate. Nel 1800 l’estrazione dello zucchero dalla barbabietola consentì un’ulteriore diffusione di dolci, più zuccherati di quelli del 1700.
Il successo dello zucchero da barbabietola è dovuto a Napoleone Bonaparte.
Al blocco delle importazioni dei prodotti dall’Inghilterra e del conseguente blocco da parte degli inglesi alle navi francesi che trasportavano zucchero di canna, seguirono enormi tasse sul carico e fu necessario trovare una alternativa allo zucchero di canna. Un agronomo francese, De Serres, nel 1575 parlò di un ortaggio da cui si poteva estrarre la sostanza zuccherina capace di sostituire la zucchero estratto dalla canna. Nel 1747 un chimico tedesco, a conoscenza di questo procedimento, dimostrò che nella barbabietola c’era il saccarosioun e dopo alcuni decenni un suo allievo inventò un sistema di produzione zuccherina: nel 1802, nacque il primo zuccherificio europeo, in Slesia (Polonia).
Bonaparte favorì le coltivazioni di barbabietola, la produzione di zucchero e l’apertura di stabilimenti in Francia a cui presto seguirono quelli italiani, in Piemonte.
Quando, dopo il Congresso di Vienna, lo zucchero di canna ricominciò a circolare era tardi... quello di barbabietola ormai si era impadronito del Mercato. Durante l’embargo inglese che colpì anche il Piemonte, dal cioccolato piemontese nacque il tradizionale cioccolato gianduia. Fu una necessità per ovviare alla scarsità di cacao, i pasticceri piemontesi crearono una crema mescolando poco cacao alle nocciole che in Piemonte erano così abbondanti da essere utilizzate per produrre olio per i lumi! I primi cioccolatini a base di gianduia avevano forma e colore dei mozziconi di sigaro, per questo vennero chiamati “gigot” (dialettale: mozziconi di sigaro). I gianduiotti nacquero nel 1865 grazie alla Caffarel Prochet che in occasione del carnevale creò i primi gianduiotti, cioccolatini rivestiti di carta dorata e dedicati a Gianduia, la maschera torinese.
All’epoca ad accompagnare le portate erano i classici vini francesi, ma Vialardi fu tra i primi a presentare accanto alla lista dei cibi anche la carta dei vini e ad imporre l’uso di vini piemontesi nei pranzi di corte e non incontrò certo delle difficoltà visto che il vino rosso piaceva molto a Vittorio Emanuele II, tanto che nel 1859, all’amata “Bela Rosin” (Rosa Vercellana) con il titolo di Contessa di Mirafiori e Fontanafredda regalò anche la tenuta tra i vigneti di Fontanafredda a Serralunga d’Alba (CN), che nel 1860 passò ai figli naturali avuti con la Bela Rosin: Maria Vittoria ed Emanuele Guerrieri Conte di Mirafiori che seppe trasformare l’immensa tenuta vitivinicola in un’azienda tra le più note ancora oggi.
Presso le corti era in uso un menù detto “alla francese”, simile a quello che oggi potrebbe essere un buffet: tutte le portate erano poste sulle tavole imbandite prima dell’arrivo degli invitati, che potevano servirsi a piacere di quello che più gradivano, ma questo creava degli inconvenienti in quanto i cibi caldi venivano spesso gustati freddi.
L’uso del menù detto “alla russa”, che oggi fa parte della nostra cultura, venne introdotto nella seconda metà dell’Ottocento. La tavola viene apparecchiata con piatti, posate, bicchieri e decorata al centro con i “dormant o surtout”, i grandi centro tavola in argento e cristallo. Le vivande vengono servite in successione, con un vero e proprio menù che anticipava ad ogni commensale l’elenco delle portate. I valletti portano ad ognuno il piatto ben caldo contenente le portate, su vassoi da cui servirsi, che sono uguali per tutti e vengono offerte secondo una successione stabilita in precedenza: nacque quindi l’abitudine di scrivere il menù, un cartoncino, collocato accanto ad ogni coperto, in cui erano indicate le diverse pietanze che avrebbero gustato.
Per il pranzo diplomatico occorreva prevedere ogni cosa nel minimo dettaglio, nulla era lasciato al caso ma seguiva un cerimoniale accurato, composto in modo perfetto, sapientemente, considerando ogni cosa per evitare incidenti diplomatici, seguendo un vero e proprio cerimoniale secondo un progetto ben definito e studiato: un protocollo preciso, dettagliato che aveva uno scopo ben preciso...
Una scenografia perfetta, dall’etichetta al protocollo, dall’arte della conversazione al ballo, un’azione diplomatica che era una vera tattica per conquistare il favore della corte con l’eleganza e ogni altra coreografia utile a far nascere alleanze tra sovrani e politici.
E lasciandovi con un certo languore e la curiosità vi invito a provare questi menù storici alle “Cene Risorgimentali” e non dimenticate il brindisi finale al canto di quella patriottica “La Bandiera Tricolore”, ricordate quando a scuola ce la facevano cantare: “E la bandiera di tre colori è sempre stata la più bella, noi vogliamo sempre quella, noi vogliam la libertà!”.

di Alexander Mascal

Per “Le Cene Risorgimentali” e “La Mostra”
Info tel.011.884870/81409
pralormo.design@libero.it
La mostra fa parte del programma ESPERIENZA ITALIA per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. In collaborazione con Provincia di Torino e Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino
Palazzo Cavour - Via Cavour 8 - Torino


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