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25-11-2002 - Il salame d’oca: origini Casalesi o Lomelline?

Roberto Bisoglio, casalese d’origine e lomellino d’adozione,presidente dell’Ordine Lomellino della rana e del Salame d’oca, ha organizzato un evento sul salame d’oca nell’ambito di un progetto che coinvolge i cultori del convivio, riuniti nelle confraternite bacchiche, ed i giornalisti dell’agroalimentare in una sinergia di comunicazione mirata a diffondere, attraverso la penna del giornalista, le scoperte che il confratello bacchico trova nelle sue riunioni conviviali. Il consumatore finale, così acculturato, è capace di riconoscere vivande e bevande nelle loro espressioni tradizionali o innovative costringendo i produttori a migliorare la qualità delle loro produzioni. Le origini L’uomo primitivo dedito alla caccia, insediatosi in piccole comunità, dopo aver iniziato a coltivare la terra, si è dedicato all’allevamento degli animali tra cui l’oca. Scavi archeologici indicano che fin da 5000 anni a.C. l’uomo aveva addomesticato l’oca Eginardo , il maggior storico alla corte di Carlo Magno annotò che al campo di Mortara la giovane Ildegarda allattava al seno, sotto la tenda, il bambino avuto da poco, quando arrivarono su un carro trainato da buoi tre donne: la regina moglie di Desiderio, Ansa (il cui nome, tradotto dal latino "anser", vuol dire "oca"), la ripudiata Ermengarda e Gerberga la vedova di Carlomanno. Portavano doni alla puerpera e specialmente carni di oca arrostite, conservate ed anche insaccate. Eginardo indicò un "salsamentum anseris", molto gradito dalla giovane mamma che baldanzosamente si atteggiava a regina. Si trattava di salami d´oca. L’utilizzazione delle carni d’oca sotto forma di salumi ebbe un notevole impulso agli inizi del ‘400, quando nella Lomellina e nel Casalese, s’insediarono alcune comunità ebraiche che imposero determinate abitudini a tavola con il divieto di consumare il maiale, sostituite con carni di altri animali da cortile. Il salame d’oca veniva preparato soprattutto in occasione della Pasqua ebraica e in altre ricorrenze religiose. Il gusto di questo salume non dispiacque affatto ai lomellini che cominciarono a produrre il loro salame che si differenziava da quello tradizionale per l’impasto che conteneva il 40% di carne d’oca e per il rimanente carne di suino che migliorava il prodotto. Quindi il salame d’oca ha una prevalenza in Lomellina; e questo è dovuto alla configurazione del territorio con una notevole presenza d’acqua favoriva l’allevamento di questo volatile.La presenza attuale degli allevamenti vede nel 1994: 11 produttori di salame d’oca a Mortara, 8 a Vigevano e 8 in altri comuni , per un totale di 27. L’oca, spennata in autunno, mangiava di più e quindi ingrassava; la piuma così ottenuta era considerata un aiutante magico dai nostri nonni per i piumoni che li preservavano dai freddi intensi nelle camere non riscaldate. Un aiutante magico, tipico delle fiabe delle quali è impossibile risalire all’autore, non perché non sia esistito, ma perché nella tradizione popolare ci sono state molte generazioni di replicatori che hanno modificato il testo originale: chiunque ha sentito una fiaba l’ha migliorata, l’ha adattata al suo pubblico, a volte l’ha anche censurata, o l’ha dimenticata perché non era gradita. Perché non possiamo adattare la stessa filosofia, cioè quella della creazione collettiva, anche al salame d’oca? Ed ad altri prodotti oggetto di feroci polemiche sulle origini velate dal tempo? Conoscenza dell’ambiente con gli itinerari gastronomici La seconda parte del convegno è mirata a legare l’attività produttiva al territorio, quindi alle sue potenzialità economiche e culturali. Perché non impostare un discorso sui termini cultural-gastronomici? Perché non accostare le suggestioni di insigni monumenti medioevali,e rinascimentali alle specialità gastronomiche in un’offerta turistica e culturale considerando gli elementi per costruire un progetto territoriale di attrazione turistica. Le zone sono diventate turistiche là dove la popolazione di quel territorio l’ha voluto, certamente non tutte le zone hanno la stessa vocazione però tutti i territori possono decidere di crescere puntando sul punto di vista culturale: questo dipende in particolare dalla popolazione del luogo e l’esperienza francese lo dimostra. Dove questo non avviene vuol dire che la popolazione è dedicata ad altro e non dà importanza a questo aspetto. L’Unione Europea ha posto alcuni punti come condizioni indispensabili per poter aspirare a poter avere uno sviluppo territoriale: - possedere propensione critica: è importante che la popolazione abbia un atteggiamento critico, nel senso costruttivo: cioè ogni cittadino del territorio deve abituarsi a vedere criticamente le cose che fa lui, quelle che fa il Comune e quelle che si fanno, o non si fanno, tutti insieme, per vedere ciò che migliora e ciò che peggiora. - diventare un luogo di qualità, orientare i progetti. in modo che ogni opera realizzata sia un seme per ottenere la qualità di un luogo. - affermare un’identità originale del territorio: un territorio, per crescere deve avere e sentire la sua identità. I cittadini devono sentire di appartenere alla loro città, al loro territorio e quindi diventare accoglienti, provare il piacere di accogliere , di far conoscere la propria terra, di aiutare chi viene in tutte le sue aspettative. - esercitare una funzione internazionale: avere dei progetti con dei partner, confrontarsi, collegarsi, andare a vedere quello che fanno - possedere un progetto che sia condiviso, il progetto non va calato dall’alto, perché se la popolazione non lo sente come suo, non partecipa. ogni territorio esiste in quanto offre cose che altri non offrono Scoprire l’identità originale e forte del territorio, valorizzarla, proporre un itinerario gastronomico che abbia anche la condotta culturale, perché il turismo è cultura, può far sì che il territorio sia un patrimonio storico di grande interesse. Il territorio deve diventare un giacimento culturale Il terzo incomodo... ma non troppo! Preceduto da una lettera di Antonello Pessot, presidente del Club Internazionale dell’oca,fa la sua comparsa alla disfida il figlio Bruno Pessot che esordisce dichiarando di essere il depositario di una ricetta molto importante tramandata da Luciano Curiel, l’ultimo macellaio ebreo del ghetto di Venezia. Ricetta tipicamente friulana del salame crudo misto di carni d’oca e di suino che non veniva fatto per una tradizione culinaria , bensì perché la carne d’oca era meno cara di quella di suino. Una curiosità molto interessante sta nelle testimonianze raccolte a San Daniele del Friuli dove si stagionavano prosciutti d’oca prima di quelli di maiale, quindi andare a scoprire la primogenitura è molto difficile ma non tanto importante quanto cercare di salvaguardare questo patrimonio. Nel territorio friulano, nel contesto di un programma di itinerari gastronomici mirati a far conoscere il territorio e le sue potenzialità culturali, i “Ristoranti dell’oca ” propongono durante tutto l’anno un piatto a base di carne d’oca e partecipano ad un’interessante rassegna gastronomica sulle variazioni cucinarie presentate in ognuno dei quindici locali aderenti all’iniziativa che potrebbe ripetersi anche in altre plaghe.

Gianni Staccotti

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