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La globalizzazione ... o no!

Considerare la globalizzazione del gusto può sembrare riduttivo in quanto è proprio dagli scambi intercontinentali nel corso dei secoli che nasce la cultura di base dell'uso e del consumo dei prodotti agroalimentari su scala sempre più ampia. Con l'avanzamento del processo di globalizzazione, che ha consentito lo sfruttamento più allargato di prodotti sempre più nuovi, si sono conosciuti alimenti che sono diventati tipici dei territori dove hanno potuto esprimersi nel concetto si sostenibilità.

il concetto di sostenibilità nel campo alimentare, con l'attenzione al sociale, nel rispetto di un territorio e la produzione senza dispendio di mezzi richiamano alla mente i prodotti che sono tipici del territorio stesso. come ha sostenuto Valeria Grieco nel suo intervento al SALONE INTERNAZIONALE DELLA RICERCA INNOVAZIONE E SICUREZZA ALIMENTARE -GIORNATA MONDIALE DELL'ALIMENTAZIONE nei saloni dell'Umanitaria a Milano il 15 ottobre 2013. Il concetto di sostenibilità è molto ampio e l'aggettivo sostenibile si abbina a ciò che è diretto al sociale e dal sociale nasce, a ciò che è rispettoso dell'ambiente, economicamente equo e, sostanzialmente, destinato a durare nel tempo. Questo dimostra come un prodotto radicato in un areale ne rappresenti anche un emblema di sostenibilità. La difesa dei prodotti tipici è quindi assai importante per un futuro sostenibile in campo alimentare . Sta quindi ai laboratori di controllo e ricerca presenti sul territorio il compito di garantire che sia in linea con le norme di sicurezza alimentare, suggerendo migliorie e piccoli accorgimenti per rendere il prodotto ottimo e sicuro, senza però privarlo delle sue peculiarità e senza snaturarlo.

i prodotti hanno assunto una loro tipicità propria del territorio e del costume locali anche nel caso in cui siano arrivati da contrade lontane attraverso un aspetto della globalizzazione intesa come diffusione su scala mondiale, grazie ai mezzi di comunicazione sempre in evoluzione, e di tendenze. La globalizzazione si può definire una situazione nella quale mercati, produzioni, consumi e anche modi di vivere e di pensare sono connessi su scala mondiale in un continuo flusso di scambi che li rende interdipendenti e tende a unificarli secondo modelli comuni ma che si divide in vari settori che contengono diversi aspetti. L'economista Giancarlo Pallavicini afferma che, anche per effetto della tecnologia informatica, essa può definirsi come "uno straordinario sviluppo delle possibili relazioni, non soltanto economico-finanziarie, pur preminenti, tra le diverse aree del globo, con modalità e tempi tali da far sì che ciò che avviene in un'area si ripercuota anche in tempo reale sulle altre aree, pure le più lontane, con esiti che i tradizionali modelli interpretativi dell'economia e della società non sono in grado di valutare correntemente,anche per la simultaneità tra l'azione ed il cambiamento che essa produce".

Sebbene molti preferiscano considerare semplicisticamente questo fenomeno solo a partire dalla fine del XX secolo, osservatori attenti alla storia parlano di globalizzazione anche nei secoli passati. Ma erano tempi diversi in cui la globalizzazione si identificava, pressoché essenzialmente, nell'internazionalizzazione delle attività di produzione e degli scambi commerciali. E' principalmente nel XVI secolo che si assiste ad un aumento del fenomeno di globalizzazione, iniziato alcuni secoli prima, con la possibilità di conoscere prodotti alimentari tipici di plaghe con le quali mercanti e guerrieri venivano in contatto di volta in volta. I dati storici mostrano come la globalizzazione non sia un fenomeno recente: la prima ondata di globalizzazione si ebbe tra il 1840 e il 1914, anche grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che resero il mondo "più piccolo" come navi a vapore, ferrovie e telegrafo. Il passaggio tra le due guerre, la grande depressione e il diffuso protezionismo risultarono in una diminuzione degli scambi commerciali, attuato mediante l'utilizzo di barriere quali dazi, sussidi e quote. A partire dalla fine degli anni '70 si è verificata una nuova ondata di liberalizzazione del commercio mondiale, anche attraverso accordi e istituzioni internazionali appositamente concepite e finalizzate all'abolizione progressiva delle barriere al commercio internazionale.

Banchetti limitati

Ben pochi elementi erano presenti nei banchetti di re Salomone, terzo re d'Israele (961-922 a.C.) se si considerano le attrattive della Terra Promessa enumerate nel Deuteronomio( Dt 8,7-8) , quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, che, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, si può collocare al VI -V secolo a.C. in Giudea. Nel brano del Deuteronomio al primo posto troviamo l'acqua, il bene più indispensabile; seguono "sette piante", di cui le prime sono cereali, cioè grano ed orzo, le altre cinque alberi da frutto, :vite, olivo, fico, melograno, palma da datteri:. (1)

Pochi elementi condizionati anche dalle limitazioni previste da Levitico: Potete mangiare di ogni animale che ha lo zoccolo spaccato e il piede diviso e che rumina;a fra quelli che ruminano e fra quelli che hanno lo zoccolo spaccato, non mangerete questi: il cammello, perché rumina, ma non ha lo zoccolo spaccato; per voi è impuro;il coniglio, perché rumina, ma non ha lo zoccolo spaccato; per voi è impuro; la lepre, perché rumina, ma non ha lo zoccolo spaccato; per voi è impura; il porco, perché ha lo zoccolo spaccato e il piede diviso, ma non rumina; per voi è impuro. Fra tutti gli animali che sono nell'acqua. potete mangiare tutti quelli che hanno pinne e squame ;ma di tutti quelli che non hanno né pinne né squame, Fra gli uccelli non si devono mangiare: l'aquila, l'ossifraga e il falco pescatore;  Il nibbio e ogni specie di falchi;  ogni specie di corvi; lo struzzo, il barbagianni, il gabbiano e ogni specie di sparvieri;  il gufo, il cormorano l'ibis; il cigno, il pellicano, l'avvoltoio;  la cicogna, ogni specie di aironi, l'upupa e il pipistrello.

Vi sarà pure in abominio ogni insetto alato che cammina su quattro zampe però, potete mangiare quelli che hanno le gambe sopra i piedi per saltare sulla terra; ogni specie di locuste, di cavallette e di grilli.

Fra gli animali che strisciano sulla terra, sono impuri per voi: la talpa, Il topo, il geco, il varano, la lucertola, la lumaca e il camaleonte.


Gli effetti della ricerca (globalizzazione) e della conservazione (sostenibilità)

Per venire a tempi più vicini a noi, quando Goethe identifica l'Italia come il Paese dove fioriscono i limoni si riferisce a prodotti arrivati in Sicilia grazie agli Arabi che , nel IX secolo, che ebbero il merito di averli introdotti in gran parte delle regioni mediterranee, prima di questa data non esistevano agrumi che si sono radicati in un areale rappresentandone un emblema di sostenibilità.

Altri esempi sono rappresentati da: spaghetti c'a pommarola, n coppa, caffè, polenta e bacalà, risòtt giald.

I fili di pasta acquisiscono una posizione particolarmente importante in Italia e in Cina dove si sviluppano due prestigiosi filoni di tradizione gastronomica che si completano a vicenda ma di cui rimane difficile stabilire i rapporti proprio per la complessità dei percorsi intermedi.

« Chi mai fosse tra i ghiottoni
L'inventor dei maccheroni
Vi son dispute infinite
Né decisa è ancor la lite »

(2)


A Napoli l trovano la loro realizzazione nel connubio con il pomodoro originario dell'America centro-meridionale, soprattutto Perù e Messico ed il cui ingresso nel vecchio continente non fu facile.

Per quel che riguarda il tipo di consumo, in origine gli spaghetti, come tutte le paste asciutte, erano perlopiù conditi di solo formaggio e pepe. Solo tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX si afferma l'uso di condire la pasta con il pomodoro. La prima testimonianza in tal senso è iconografica e si ritrova in un presepe napoletano databile agli inizi del settecento, conservato nella Reggia di Caserta, nel quale due contadini arrotolano attorno alla forchetta i primi spaghetti colorati di rosso. Bisognerà però attendere i primi decenni del XIX secolo per vedere pubblicata la prima ricetta in cui la pasta sia abbinata al pomodoro. Infatti nel 1839 Ippolito Cavalcanti pubblica la seconda edizione del suo celebre trattato "Cucina teorico pratica" che, riprendendo quella che doveva essere una abitudine diffusa tra il popolo, ci riporta due distinte ricette in tal senso: i Vermicelli con lo pommodoro ed il Ragù napoletano.

Caffè

Il caffè degli altipiani etiopici si esprime nel monologo del caffè dove vi è l'esaltazione tutta napoletana di un rito quotidiano, quasi sacro, in grado di conferire un momento di felicità a qualsiasi uomo. "Sul becco io ci metto questo coppitello di carta... Pare niente, questo coppitello, ma ci ha la sua funzione... E già, perché il fumo denso del primo caffè che scorre, che poi è il più carico, non si disperde. Come pure, professo', prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre o quattro minuti, per lo meno, prima di colarla, vi dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata. Un piccolo segreto! In modo che, nel momento della colata, l'acqua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo. Professo', voi pure vi divertite qualche volta, perché, spesso, vi vedo fuori al vostro balcone a fare la stessa funzione. E io pure. Anzi, siccome, come vi ho detto, mia moglie non collabora, me lo tosto da me. Pure voi, professo'?... E fate bene... Perché, quella, poi, è la cosa più difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore... A manto di monaco... Color manto di monaco. È una grande soddisfazione, ed evito pure di prendermi collera, perché se, per una dannata combinazione, per una mossa sbagliata, sapete... ve scappa 'a mano 'o piezz' 'e coppa, s'aunisce a chello 'e sotto, se mmesca posa e ccafè... insomma, viene una zoza... siccome l'ho fatto con le mie mani e nun m' 'a pozzo piglia' cu' nisciuno, mi convinco che è buono e me lo bevo lo stesso. Professo', è passato. (Assaggia il caffè) Caspita,chesto è ccafè... È ciucculata. Vedete quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo: una tazzina di caffè presa  tranquillamente qui, fuori... con un simpatico dirimpettaio..."
(3)

Portare alle labbra una tazza di caffè fumante è un gesto comune in buona parte del mondo, ma pochi si saranno posti domande sull'origine della bevanda, la sua storia, il suo significato sociale. Sulle sue origini vi sono molte leggende. Tutti conoscono quella proveniente dal Monastero Chehodet nello Yemen, secondo la quale uno dei monaci, avendo saputo da un pastore di nome Kaldi che le sue capre ed i suoi cammelli si mantenevano "vivaci" anche di notte se mangiavano certe bacche, preparò con queste una bevanda nell' intento di restare sveglio per poter pregare più a lungo. Un'altra leggenda fa risalire le origini del caffè gli altipiani dell'Abissinia, dove,pare, siano le sue vere origini. Comunque sia, i resoconti di parecchi viaggiatori testimoniano che l'uso del caffe' fosse diffusissimo in tutto l'Oriente Islamico alla fine del XVI secolo. In Occidente il caffè si diffuse da Venezia, dove, si pensa, sia stata aperta la prima "Bottega del Caffe' " nel 1640, il successo fu immediato ed il caffè sia come bevanda che come locale, si diffuse in ogni città italiana. La diffusione del caffè nel mondo fu facilitata da una lotta di interessi tra chi voleva conservare l'esclusiva delle preziose piantine e chi desiderava ottenere una parte dei profitti che esse procuravano. Nel 1690 un comando di marinai olandesi sbarcò sulle coste di Moka, nello Yemen, e riuscì ad impadronirsi di alcune piantine: dopo pochi anni, fiorirono le prime piantagioni a Giava e Sumatra. Nel 1720 Gabriel de Clieu, un ufficiale della marina francese, salpò alla volta dei Caraibi con due piantine di caffè di cui solo una sopravvisse arrivando alla colonia francese della Martinica. Da lì, nei decenni seguenti, le piante si diffusero rapidamente nel sud America: specialmente in Brasile, esistono tutt'oggi le maggiori piantagioni del mondo.

Polenta e bacalà
Lo staccafisso portato nella Serenissima dal navigatore che naufragò nei mari boreali ha sposato la polenta fatta con il mais azteco in un connubio tipico di Vicenza.

Chi xe che gà inventà "Polenta e bacalà"?
Disìmelo, creature,
'sto nome, 'sto portento,
che toga le misure
par farghe un monumento.

Dante, Petrarca e Tasso
xe piavoli al confronto,
Omero xe un pajasso
e Metastasio un tonto.

No ghe xe al mondo un piato
che possa starghe a peto,
sia lesso o mantecato,
col pien o col torceto.

Fato a la visentina,
fato a la capuçina,
de sera o de matina:
che roba soprafina!

L'imbalsama, el sublima,
el sazia, l'incocona
e dentro el te combina
'na festa cussì bona che dopo gnanca un'ora
che te lo ghe magnà
vien su...la dolce aurora
de la feliçità.

 

Agno Berlese



Pietro Querini, patrizio veneziano nel 1431 salpò da Candia verso le Fiandre a bordo della caracca Querina con un carico di 800 barili di Malvasia, spezie, cotone, cera, allume di rocca e altre mercanzie di valore, pari a circa 500 tonnellate. Superato Capo Finisterre, la nave fu sorpresa da ripetute tempeste e fu spinta sempre più verso ovest, al largo dell'Irlanda: si ruppe il timone e la nave restò disalberata, andando alla deriva per diverse settimane, trasportata dalla Corrente del Golfo
, finché l'equipaggio decise di abbandonare il relitto semiaffondato e si imbarcandosi su una scialuppa che andò a lungo alla deriva fra razionamenti di viveri e morti continue, toccando fortunosamente terra nel 1432 nell'isola deserta di Sandøy, nell'arcipelago norvegese delle Lofoten, con 16 marinai superstiti. Il Querini e i suoi compagni vissero per undici giorni bivaccati sulla costa nutrendosi di patelle e accendendo fuochi per scaldarsi. Questi furono avvistati dai pescatori dell'isola di Røst, la più vicina, che andarono in loro aiuto e li ospitarono nelle loro case. La popolazione dell'isola di Røst, che i veneziani chiamarono Rustene, circa 120 abitanti, era dedita alla pesca e all'essiccazione del merluzzo. Nel maggio del 1432 il Querini s'imbarcò su una barca che andava a Bergen portando con sé 60 stoccafissi essiccati. Qui li vendette per assicurarsi risorse per tornare in Veneto dove giunse nell'ottobre dello stesso anno dopo una cavalcata di 24 giorni attraverso l'Europa. (4) Il " capitano de mar" importò la idea dello stoccafisso, che godette subito di un grande successo e che i veneziani impararono ad apprezzare, sia per la sua bontà gastronomica che per le sue caratteristiche di cibo a lunga conservazione molto utile sia nei viaggi di mare che di terra, oltre che per la caratteristica di essere un "cibo magro", così da divenire uno dei piatti consigliati negli oltre 200 giorni di magro, fissati nell'ultima sessione del Concilio di Trento del 1563. un'isola delle Lofoten è stata chiamata Sandrigøya, cioè isola di Sandrigo, in ricordo della cittadina in provincia di Vicenza dove si tiene annualmente la sagra del baccalà, il piatto tradizionale della cucina vicentina a base di stoccafisso proveniente dalle isole Lofoten. Per converso, a Sandrigo una piazza è stata dedicata a Røst.

Mais

Lo sviluppo degli esseri umani si identifica tra i maya con la principale coltivazione e fonte di sostentamento, il mais: "di mais giallo e di mais bianco si fece la sua carne; di massa di mais si fecero le braccia e le gambe dall'uomo".  Il mais ha costituito, per tutte le civiltà mesoamericane, un'importanza cruciale. Nella tradizione Maya il terzo dio in ordine di importanza, dopo il dio del Cielo e il dio della pioggia, era Yam kax, dio del mais.. (5) Secondo una leggenda maya, il mais si trovava nascosto sotto una montagna di roccia dura. Per prime lo scoprirono le formiche, che avevano scavato una galleria e lo portavano via chicco per chicco. Una volpe un giorno rubò un chicco e lo assaggiò. Fu così che anche gli altri animali e infine l'uomo lo scoprirono. Pregarono gli dei perché li aiutassero e questi fecero cadere un fulmine sulla roccia che custodiva il mais, abbrustolendo parte dei chicchi. Da qui nacquero le 4 varietà del mais: rossa, nera, gialla e bianca. (6)



Dalla Spagna, il mais arriva in Italia e nel Veneto, grazie probabilmente ai fiorenti scambi commerciali che transitavano a Venezia. Le prime notizie del mais nel Veneto tratte da un volume scritto dal veronese Luigi Messedaglia (1874-1956) che parlano di coltivazioni nel Polesine e a Villa Bona, ora Villa d'Adige, attorno alla metà del 1500, anche se le prime coltivazioni di una certa importanza, arriveranno solo verso la fine del secolo XVI per poi espandersi nel secolo XVII. Polenta: è il metodo più antico di cottura e di preparazione delle farine ottenute dalle leguminose o da cereali che, per l'uomo primitivo fu spontaneo cuocere , mescolandoli ad acqua. Da ciò il diffondersi del macco e infine delle puls e pultes dell'antica Roma per le quali si facevano cuocere farine di miglio, orzo, farro o fave.Dal latino pûltem aggettivo di pûls specie di vivanda fatta di legumi sfarinati e cotti nell'acqua., sorta di cibo fatto con farro o fave bollite nell'acqua, usato dai romani prima di conoscere il pane e in seguito dalla plebe. Oggi con il termine di polenta si intende propriamente un impasto di farina di mais, polente di altre farine : (grano saraceno, castagne ) sono definite con la specificazione "polenta di " seguita dal nome.

Risòtt giald
il riso delle pendici himaliane e lo zafferano medio orientale sono assurti a simbolo della cucina ambrosiana nel solare risòtt giald.

El risòtt giald rappresenta l'esempio più significativo di quanti trovano a Milano la loro realizzazione come è avvenuto per riso e zafferano di lontane origini che si sono realizzati nel convivio ambrosiano diventandone il simbolo internazionale.
"Il risotto ha da essere - scriveva Giovanni Cenzato- ben unto e intriso, acuto d'odore e sfacciato di sapore" Di aggiungere vino non se parla ancora.
Per trovare l'aggiunta del vino si deve arrivare ai primi del '900,quando l'Artusi fornisce due ricette del Risotto alla Milanese, la prima senza vino perché non si trova il midollo; nella seconda compare il midollo di bue che rendeva il riso appiccicoso al palato, quindi di doveva sfumare col vino per dare un tocco di acidità che sgrassava la bocca. (7)


L'usanza di offrire ai banchetti nuziali cibi colorati di giallo con lo zafferano, adoperato dal dio greco Ermes, consigliere degli innamorati, per risvegliare il desiderio, era molto diffusa nelle Fiandre, come ci ha tramandato Pieter Bruegel nel suo quadro "nozze contadine " dipinto nel 1568. Tale usanza potrebbe essere stata ripresa in occasione delle nozze della figlia del Maestro fiammingo Valerio di Fiandra che aveva portato a termine la vetrata di Sant'Elena del Duomo di Milano lasciata incompiuta da Rainaldo d'Umbria.Maestro Valerio era tanto abile nell'arte sua quanto in quella di vuotar boccali di buon vino, per cui sembra che il merito maggiore delle sue vetrate, piuttosto che a lui, debba toccare al garzone tanto abile nel manipolare lo zafferano nella composizione dei colori , da essere soprannominato 'Zafferano'. Lo zafferano, comunque, doveva essere utilizzato a freddo mescolato con chiara d'uovo o olio, dai pittori che dipingevano su tele o su tavole; sarebbe un errore pensare che il garzone usasse per le vetrate del Duomo lo zafferano che sarebbe volatilizzato ad un temperatura altissima di 600°C. Per dare ai vetri il colore giallo si usava il Giallo d'argento che si presenta di colore bruno a freddo, ma dopo la cottura a 600°C si trasforma in un giallo vivissimo utilizzato specialmente in arte sacra per la colorazione delle aureole. Si racconta che il giorno degli sponsali della figlia del maestro Valerio, il giovanotto, d'accordo con l'oste portasse in tavola un bel risotto color d'oro all'uso fiammingo. Il primo ad esserne entusiasta, da quel sommo esperto del colore che era, fu proprio Maestro Valerio. Era nato il risotto alla milanese; e ciò avvenne nel settembre dell'anno 1574 al "bettolin di pret", in Camposanto dove si trovavano i cantieri dei costruttori del Duomo in costruzione.

Lo zafferano (crocus sativus) cominciò ad essere coltivato 3500 anni fa in Asia Minore, apprezzato per il suo sapore, ma anche e soprattutto per il suo colore, che evocava l'oro e le fiamme, tanto da essere usato come cosmetico e per tingere : le donne egiziane lo univano alla scorza di melograno per rendere la tintura dei tessuti più tenace. Color del croco era per Omero la veste dell' Aurora, e Krokopeplos uno dei suoi attributi fissi e pertanto le Muse, figlie del cielo, portavano una veste tinta col croco. Ifigenia venne condotta al sacrificio avvolta in un croceo velo. Polvere di croco era sparsa sulla scena e sugli spettatori dei teatri romani per sottolineare con il suo intenso profumo i momenti topici delle rappresentazioni teatrali. Secondo Dioscoride il suo profumo era un rimedio contro l'ubriachezza. Il papiro di Erbes ci riferisce che lo zafferano era usato dai medici egizi per preparare droghe medicamentose. Gli arabi lo chiamavano al zaafaran, e il suo odore rendeva più ospitali le loro tende, e la mente più disposta alla meditazione e alla preghiera. in lingua sanscrita il termine "asgrig", che significa anche "sangue", mentre il suo nome greco krokus e' legato ad un suggestivo mito di cui ci riferisce Teofrasto: un giovane di nome Krokos e la ninfa Smilax si amavano appassionatamente ma il loro amore non poteva perdurare in eterno, perché Krokus era un uomo e come ogni uomo mortale. Gli dei, mossi a pietà, decisero così di trasformare la ninfa in una salsapariglia: pianta rampicante dalle bacche rosse di cui sono ghiotti i Puffi (8) Lo zafferano cominciò ad essere coltivato in Abruzzo nel IX secolo, introdotto dalla Sicilia, dove arrivò sulle navi dei mercanti arabi. Nella seconda metà del XIII secolo esso era alla base dell'economia della giovane città dell'Aquila e del suo contado alla base di un fiorente commercio con Venezia. Da queste terre proveniva lo zafferano che l'allievo del mastro vetraio Valerio Da Profondavalle usò per tingere di giallo il risotto alle nozze della figlia del maestro, inventando così il risotto alla milanese... Alcuni esempi di prodotti originari di plaghe lontanissime che hanno avuto modo di realizzarsi diventando simbolo delle contrade grazie alle capacità dei loro abitanti. Globalizzazione e sostenibilità si possono quindi considerare come i binari sui quali scorre l'evoluzione dell'alimentazione dell'uomo che ha arricchito il proprio patrimonio con i prodotti che andava scoprendo adattandoli all'ambiente in cui viveva fino a considerarli tipici del suo territorio.

Giovanni Staccotti

 


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