CORSI E CONCORSI

Come organizzare un concorso internazionale ed essere…semplici

Può essere il titolo di presentazione di una manifestazione che ha come protagonista principale il vino. Non una rassegna qualsiasi: il “Concorso dei grandi vini di Francia” che si tiene a Mâcon, in Borgogna, alla fine di aprile e che vede in lizza ben 10500 campioni esaminati da 2000 giudici provenienti da tutte le regioni viticole francesi oltre a rappresentanti di Italia, Svizzera, Olanda, Stati Uniti, Inghilterra, Germania. Le categorie professionali sono tutte ben rappresentate, per la credibilità del concorso: produttori, sommeliers, comitati interprofessionali, ristoratori, scuole alberghiere, club di degustatori. In contemporanea si tiene una fiera vinicola durante la quale ognuno può degustare e acquistare quanto di meglio offre la produzione francese, rappresentata da più di centocinquanta viticoltori; insieme a questi anche distillatori, produttori di formaggi, miele e confetture, per una panoramica sul territorio che deve essere apprezzato e goduto nella sua interezza: paesaggistica, enogastronomica e culturale.
Chi scrive è stato chiamato a Mâcon in qualità di giudice, ma al di là dell’impegno per esprimere al meglio le proprie valutazioni sui vini, tutti di qualità apprezzabile, l’attenzione è stata principalmente attirata dal tipo di organizzazione. Dalle nostre parti organizzare un evento simile, con numeri di questa entità (sia di vini, che di visitatori, che di addetti ai lavori) manderebbe in tilt una buona percentuale di teste: personalità da invitare, locali fastosi, guide rosse per terra, convegni ( che in queste occasioni non interessano nessuno), discorsi: tutte cose che nel giro di qualche anno riescono ad affossare anche le manifestazioni più intelligenti e meglio strutturate. Al contrario, “Le Parc” che ospita il concorso e la fiera ha una veste quasi irritante nella sua semplicità: niente orpelli, niente bla bla, niente lustrini. Il vino è protagonista ed esige di essere trattato semplicemente: gustato, degustato, commentato e non deve nemmeno sforzarsi troppo per far gioire quanti gli sono intorno.
La permanenza di qualche giorno a Mâcon ci ha permesso di gustarne l’attitudine di città gastronomica, il chè non guasta. Ma la peculiarità, come d’altronde accade in quasi tutte le città della Francia, è l’importanza che si attribuisce al formaggio, non relegato al livello di “optional” come accade nella nostra ristorazione: oltre tutto un optional spesso scadente, ovvio, quasi rattristante. E dire che siamo tra i più importanti produttori sia quantitativamente che qualitativamente: ma ci manca la cultura. Consideriamo il formaggio un surplus da relegare a fine pasto, un complemento tanto per tirare in lungo la conversazione, senza avere, invece, il piacere di gustarlo nella sua complessità organolettica di alimento indispensabile alla nostra dieta e ottimo complice per bere una bottiglia interessante.

Giuseppe Lambertucci (Sommelier AIS)


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