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APPUNTAMENTI
De lacte et caseo
Convegno nazionale di studi sul bianco colore delle
terre di Lombardia
Il 29 e 30 maggio 2008 si terrà a Brescia il Convegno nazionale
di studi “De lacte et caseo”, promosso dall’Assessorato
all’Agricoltura, Agriturismo ed Alimentazione della Provincia, in
collaborazione con la Fondazione Civiltà Bresciana, e il patrocinio
del Comune di Brescia, della Regione Lombardia, dell’Università
Cattolica del S. Cuore, della Fondazione Dominato Leonense, della Fondazione
Pianura Bresciana, della Fondazione Ninfe (Castello di Padernello), dell’ONAF
(Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio), dell’Accademia
Nazionale della Cucina, del CeSa (Centro Studi per la storia dell’alimentazione
e della cultura materiale), della Biblioteca Queriniana di Brescia, dell’Associazione
per la storia della Chiesa Bresciana e dell’Associazione di Sconfinarte.
Il Convegno – i cui lavori si svolgeranno il 29 maggio presso l’Aula
Magna “G. Tovini” dell’Università Cattolica di
Brescia e il 30 maggio nella sede della Fondazione Civiltà Bresciana
– intende recuperare il senso storico dell’attività
legata all’allevamento, sia stabulare che transumante, promuovere
e valorizzare il territorio per mostrare le grandi potenzialità
economiche connesse con il settore lattiero-caseario nell’ambito
della Lombardia orientale e del territorio nazionale.
Dalla transumanza alla stabulazione fissa, da sempre, la storia dell’allevamento
nel territorio bresciano è frutto delle felici condizioni ambientali;
le vaste pianure irrigue, infatti, e i verdi pascoli estivi hanno permesso
l’allevamento sin dall’età preistorica. Seguirne le
fasi nel corso del tempo è ripercorrere in parte gli antichi sentieri
della transumanza, il tragitto che le greggi compivano dalla Pianura,
compresa tra la linea dei fontanili e il Po, dove hanno sostato in inverno,
fino alle Prealpi bresciane e bergamasche per trascorrervi l’estate
in alpeggio. Dobbiamo giungere alla seconda metà del secolo VIII,
in pieno medioevo, per trovare le prove documentarie scritte – anche
se non mancano attestazioni di caseus alpinus già in età
romana – di tale tradizione, che deve essere antica quanto la pratica
dell’allevamento, documentata dagli archeologi nella zona fin da
3500 anni prima di Cristo. In particolare, si deve all’iniziativa
dei grandi monasteri benedettini di San Salvatore/Santa Giulia di Brescia
e di San Benedetto di Leno i primi interventi per organizzare il settore.
Nell’inventario delle corti del monastero, che la badessa del cenobio
cittadino fece redigere nell’ultimo quarto del IX secolo, scopriamo
le prime forme di stabulazione fissa nella corte di Cicognara, “specializzata”
nell’allevamento di bovini, così in come quella di Alfiano
per gli equini e quelle della pianura lungo la sponda bergamasca dell’Oglio,
dotate di una gran riserva di foraggio, destinato ad alimentare le mandrie
e le greggi transumanti dalla Bassa alle montagne bergamasche di Sovere
e Clusone. Nello stesso straordinario documento si colgono le soluzioni
adottate per risolvere i problemi che nascevano con i proprietari dei
terreni attraversati e le forme di risarcimento individuate, che prevedevano
solitamente il conferimento di latte o un quantitativo determinato di
latticini e formaggi, freschi e stagionati.Tale forma di prelievo, debitamente
organizzata, diventerà parte integrante del sistema impositivo
messo in atto dai comuni rurali nel XII e XIII secolo. La riscossione
dell’erbatico, la tassa per il pascolo delle malghe, condotte nei
prati della pianura da malghesi e pecorari, prevalentemente bergamaschi
e bresciani, avveniva – pertanto – mediante il conferimento,
com’era consuetudine, di latticini e formaggio nella quantità
stabilita dal Consiglio del comune rurale interessato.
In concreto, si doveva trattare di caseum, corrispondente all’odierno
formaggio stagionato, o di mascherpa, specie di ricotta vaccina salata
e talvolta affumicata; oppure di scumaria, ottenuta schiumando dalla caldera
i fiocchi affioranti nel processo di produzione di ricotta e omogeneizzati
e insaporiti con erbe ed essenze del bosco (come ha messo in evidenza
una recente indagine per la Valcamonica). Prodotti cioè che, con
tutta evidenza, costituiscono gli antenati delle molteplici varianti di
cui è ricco il territorio bresciano, frutto di un processo di sperimentazione
e di arricchimento di una tradizione millenaria di allevamento e di trasformazione
del latte.
Sono ancora le carte monastiche a fornire nuovi dati dopo il Mille. Da
una parte i cluniacensi, impegnati tra XI e XIV secolo a perfezionare
il modello organizzativo delle produzioni integrate e della transumanza
di corto raggio – tra Comezzano, ad esempio, e l’area prealpina
di Polaveno – per far fronte alla domanda dei consumi in crescita
della città. Dall’altro i cistercensi, cui va il merito di
aver incrementato il patrimonio bovino, compiendo un salto di qualità
nel regime alimentare degli animali allevati nella grangia, il loro modello
innovativo di azienda agricola, con la diffusa applicazione della tecnica
della marcita nell’organizzazione del sistema di produzione del
foraggio.
Ad essi si affiancarono le sperimentazioni nelle aziende signorili nell’intento
di realizzare un sistema annonario di garanzia per le esigenze di approvvigionamenti
delle città, ottimizzando a tal fine il grande patrimonio idrico
e i sistemi produttivi legati all’allevamento e alla trasformazione
del latte.Ma sono le indagini e le riflessioni dei bresciani Agostino
Gallo e Camillo Tarello, che segnano la nascita dell’agricoltura
e dell’allevamento moderno. Essi si fanno promotori di un modello
razionale, teso ad ottimizzare le risorse, potremmo dire, per migliorare
produttività e profitto in ogni segmento del mondo agricolo, compreso
quello dell’allevamento, della trasformazione del latte e della
produzione di latticini e formaggio, prodotti di alta qualità apprezzati
in Italia e nel resto d’Europa.
Il secondo momento del progetto si terrà nel primo autunno e vedrà
tradursi in proposte operative il progetto del “distretto del latte
”, promosso dall’Assessorato all’Agricoltura della Provincia
di Brescia, e verrà realizzato in stretta sinergia con allevatori,
produttori e aziende, per fare il punto sullo "status quaestionis"
del latte in Italia. Un appuntamento che vuole essere la “prima
tappa” di un approfondimento tematico e produttivo a livello, territoriale,
regionale e nazionale. In quella circostanza, la Provincia di Brescia
si proporrà come capofila di un settore economico tanto rilevante
e quale punto di riferimento per la creazione di un "distretto"
produttivo lattiero caseario della Lombardia orientale, una sorta di milk
valley padana, comprendente le province di Brescia, Bergamo, Mantova,
Cremona e Lodi.
Marco Rossi
marco.rossi@provincia.brescia.it
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