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Cresce ancora, ma più lentamente che negli anni
pre-crisi, il volume degli scambi di vino nel mondo
Nel 2013 a 34 miliardi di dollari:
+11% all’anno tra il 2004 ed il 2008, +8% tra il 2008 ed il 2013.
Così “Wine by Numbers” di Unione Italiana Vini
Gli scambi mondiali di vino hanno
rallentato la corsa nel quinquennio 2008-13. Il totale export, seppur
in crescita del 5% nel 2013 sul 2012, a quota 34 miliardi di dollari in
valore, mostra ancora segnali di stanchezza sul periodo pre-crisi. Se
tra il 2004 ed il 2008 la crescita annuale era stata del +11%, dal 2009,
anno di vero inizio della crisi per il settore, al 2013, la crescita è
stata intorno al +8% scarso. “Segno che ancora il settore fa fatica
a ritrovare i ritmi che lo avevano contraddistinto prima dello scoppio
della bolla internazionale”. Ecco il trend che emerge dall’analisi
degli scambi mondiali realizzata dal “Corriere Vinicolo”,
organo di informazione di Unione Italiana Vini, con “Wine by Numbers”
(www.winebynumbers.it), che analizza le performance dei principali Paesi
importatori ed esportatori di vino nel periodo 2008-13, suddivise per
tipologie di prodotto (spumanti, vini confezionati, sfusi).
A veder rallentare la crescita, a livello mondiale, sono sia i vini imbottigliati,
che passano dal +10% di crescita annua tra il 2004 ed il 2008 al 7% degli
anni della crisi (con gli spumanti che vedono la crescita scendere dal
+15% al +9%, soprattutto a causa delle spedizioni di Champagne), che gli
sfusi, la cui crescita è scesa dal +9% all’anno tra il 2004
ed il 2008, al +7% 2008-2013. L’Italia, nel complesso, ha visto
le proprie esportazioni passare da 1,821 miliardi di litri esportati nel
2008, ad 2,012 nel 2013, con i valori cresciuti da 3,6 a 5 miliardi di
euro, ed un prezzo medio al litro passato da 1,98 a 2,48 euro al litro.
I vini confezionati
Limitando l’analisi al segmento dei vini confezionati, esclusi gli
spumanti, si nota che la tendenza al ridimensionamento della crescita
valoriale coinvolge tutti i maggiori supplier. Unica eccezione sono gli
Stati Uniti, che passano da un +3% cumulato del pre-crisi a un +18% del
post-crisi.
“Evidentemente - spiega “Il Corriere Vinicolo” sta pagando
la strategia di riposizionamento su Paesi dove la crisi non si è
sentita affatto, come il Canada, dove i californiani sono diventati primo
fornitore di vino proprio nel 2013. Tutti gli altri invece vedono ridursi
le performance, chi in maniera più drastica, passando addirittura
in decrescita, come l’Australia e il Sudafrica, chi più soft.
L’Italia, pur avendo inanellato anni di buona espansione, si trova
in una situazione mediana: perde 3 punti percentuali netti (da +9% a +6%),
ma sicuramente fa peggio della Francia, che perde solo 2 punti di di crescita
(all’8%). Quello che deve far riflettere invece è il dato
spagnolo: confermata la crescita tra i due periodi (+9%) e quindi in performance
migliore rispetto al nostro Paese di 3 punti percentuali. Gli spagnoli
si sono limitati a invadere i mercati con vini low-entry, strategia che
può valere sul breve, specie in momenti di crisi, ma che può
rivelarsi pericolosa sul lungo termine. Malissimo, per rimanere in Europa,
gli andamenti di Portogallo (4 punti di differenziale) e Germania, che
di punti di crescita ne perde 10”.
Sudamerica deludente
Performance abbastanza deludenti mostrano Cile e Argentina. Nel post-crisi
i cileni sono allineati all’Italia (+6%), mentre Mendoza va sopra
il 7%. “Cambia la prospettiva se compariamo le performance accumulate
nei due periodi considerati: i cileni venivano da un +13%, ancora più
rampanti gli argentini, con crescite sopra il 25%. Per entrambi, quindi,
il quinquennio post-crisi mostra segnali abbastanza incerti: gli argentini
in prospettiva sembrano messi meglio, avendo un trend dei prezzi in crescita,
tuttavia le incertezze della situazione interna, con un’inflazione
galoppante, non lasciano trasparire nulla di buono”.
La crisi australiana e sudafricana
Incertezza, o meglio vera e propria inquietudine è quella che si
respira dalle parti dell’Australia: “lo spartiacque tra pre
e post-crisi per Canberra non esiste, nel senso che per loro già
il 2008 aveva segnato un primo brusco stop, per cui nel cumulato 2004/08
sono a zero. A cui affiancano una decrescita del 3% a partire dal 2009,
che vale ai canguri la peggiore performance in assoluto fra i grandi Paesi,
controbilanciata solo in parte dalla strategia di spedizioni mirate di
sfuso in UK. Accomunata in questa sorte, perché trova il suo primo
mercato proprio a Londra, è l’industria sudafricana: da un
robusto +6% accumulato fino al 2008 si è scesi, anche se impercettibilmente,
in territorio negativo; il -0,4% cumulato dal 2009 viene in qualche modo
alleggerito dalla performance di crescita del 2013, favorite dal rand
debole. Ben peggiore invece sarebbe il bilancio se il calcolo del Cagr
si fosse fermato al 2012, quando si è toccato il picco più
basso del valore export. Chiudiamo con la piccola Nuova Zelanda, che dopo
un 2009 iniziato malissimo ha invertito la tendenza, riuscendo a portare
a casa una crescita pluriennale del 10% abbondante: una pallida copia
rispetto al 28% e rotti di crescita del periodo pre-bolla, ma pur sempre
un segnale di incoraggiante ripartenza”.
(www.winenews.it)
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