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AZIENDE
E PRODOTTI
A rischio il pane di Altamura i grani tradizionali scompaiono
L'appello lanciato dalla Legambiente
e dal Parco nazionale dell'Alta Murgia: le sementi tradizionali mantengono
la storia dei sapori e ci possono aiutare nell'epoca del caos climatico
E' raffigurato sul portale della
cattedrale di Federico II di Svevia, ad Altamura. Ora però il pane
che fa da ambasciatore globale a uno dei paesi più noti della Puglia
rischia di rimanere un'immagine, un ricordo storico. I grani tradizionali
senza i quali non si può creare la fragranza della crosta che contrasta
con la morbidezza della mollica di colore giallo paglierino, stanno
per sparire, cancellati dai campi.
L'allarme viene dal Parco nazionale dell'Alta Murgia, il più grande
parco rurale d'Italia, che ha lanciato, assieme a Legambiente, il Festival
della Ruralità a Castel del Monte (Andria) presentando i risultati
di una ricerca da cui emerge che solo il 2% delle aziende agricole del
parco continua a coltivare il simeto, l'appulo, l'arcangelo, il duilio.
Cioè i quattro tipi autoctoni di grano duro che hanno permesso
al pane di Altamura di ottenere dall'Europa, unico in Italia, il marchio
Dop.
"Abbiamo fatto della difesa dell'agricoltura tradizionale una delle
nostre battaglie principali", spiega Cesare Veronico, presidente
del Parco nazionale dell'Alta Murgia. "Il nostro territorio è
segnato sia geograficamente che culturalmente dalle masserie fortificate,
i segni architettonici della storia del pane. E questa cultura non può
essere persa: lanciamo un appello per creare le condizioni che permettano
il rilancio delle coltivazioni autoctone della Murgia che rischiano di
essere sostituite dalle colture estensive industrializzate".
I primi dati della ricerca sulle sementi originarie indicano che, sotto
le pressione del parco, si è registrata una prima, timida inversione
di tendenza, ma molte varietà di grani, ortaggi, legumi sono sull'orlo
dell'estinzione. A rischio sono il cece nero di Cassano delle Murge; la
lenticchia gigante d'Altamura, verde e saporita; il cece rosso di Gravina
di Puglia; la cicerchia dell'Alta Murgia. Una ricchezza che rischia di
sparire per sempre dai nostri campi e dalle nostre tavole, spazzata via
dall'industrializzazione crescente dell'agricoltura perché le colture
tradizionali vengono considerate "poco produttive" dall'industria
del cibo massificato, perché sono fuori taglia per le macchine
agricole, perché la mancanza di uniformità (che in realtà
è un punto di forza) viene percepita come un difetto.
Per questo Legambiente e parco propongono un'opera di recupero e conservazione
indispensabile per mantenere la diversità dei sapori, che è
la base del successo del made in Italy alimentare, e anche per ridare
spazio a varietà autoctone che sono più resistenti al caos
climatico, alla siccità e all'attacco dei parassiti.
(Cesare Veronico – Antonio Cianciullo – www.repubblica.it)
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