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Vino & clima
Entro il 2050 i cambiamenti potrebbero rendere inadatte alla viticoltura
l’86% delle aree europee del Mediterraneo. A dirlo uno studio di
Conservation International. Ma agronomi ed enologi italiani non sono d’accordo
Entro il 2050 fino all’86% delle
aree europee del Mediterraneo dove ora si produce vino potrebbe non essere
più adatta alla viticoltura a causa dei cambiamenti climatici e
della “febbre” che porta ad innalzare la temperatura del pianeta.
A dirlo uno studio, lanciato in pieno Vinitaly, del centro ricerche “Conservation
International, secondo” cui il fenomeno interesserà tutto
il mondo con uno “spostamento” a nord delle vigne. Dall’analisi
emerge che la California perderà il 60% delle aree, il Cile il
25%, l’Australia il 73%.
Per l’Europa Mediterranea, previsto fino all’86% di perdita
delle aree di produzione. “In questo scenario - afferma Conservation
International - le produzioni si sposterebbero a latitudini più
estreme. In Nord Europa, infatti, le aree vinicole aumenteranno del 99%,
in Nuova Zelanda del 168% e nel nord America del 231%”. I ricercatori
hanno combinato 17 modelli climatici diversi per verificare gli effetti
futuri delle temperature più alte e dei cambiamenti nelle piogge.
Ma agronomi ed enologi, che in ogni caso non sottovalutano il problema,
smorzano i toni. “La vite é una delle colture arboree che
meglio si adatta ai cambiamenti climatici. In Val d’Aosta si fa
vino a quota 1.100 metri e ottimi nettari si producono a Pantelleria -
spiega il presidente del Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori
Agronomi e dei Dottori Forestali, Andrea Sisti - a dimostrazione della
capacità di resistenza dei vigneti non solo a temperature estreme
ma anche allo stress idrico. Credo poco a uno studio che prende in considerazione
una delle piante che meglio resistono a variazioni del clima, lanciando
un allarme-scomparsa in soli 40 anni. Che poi non sono molti per delineare
uno spostamento della geografia globale della viticoltura”, osserva
Sisti, alla luce di serie storiche registrate negli ultimi 150 anni che
rilevano “sì cambiamenti delle temperature, ma in fasce non
omogenee. Un conto è comunque parlare di ere, un conto di scenari
da qui al 2050. Inoltre quello che conta in vigna - sottolinea - è
il microclima. Non a caso la vitis vinifera ha radici che arrivano fino
a 15 metri, e lo sviluppo vegetativo non supera un metro in Francia, con
un grado zuccherino nettamente inferiore a ai vini dei Castelli romani
ma più acidità nel mosto. Se anche si verificasse una glaciazione
in appena pochi decenni, avremo passiti romani e bianchi beverini di Borgogna.
Tuttavia - conclude - la vite saprà resistere alla febbre del pianeta,
e solo una determinazione dell’uomo porterà la produzione
del vino nei dintorni di Londra”.
“'Molto perplesso” sui risultati dello studio, pubblicato
sulla rivista Pnas, è Giuseppe Martelli, direttore Assoenologi:
“che la viticoltura si sposti a Nord è tutto da verificare
perché non c’è desertificazione a Sud, e l’Inghilterra
non sarà mai a vocazione vinicola perché le malattie crittogamiche
farebbero festa con tanta pioggia. Ammettendo tuttavia sbalzi significativi,
le varietà che potrebbero riscontrare problemi sono quelle precoci:
tra i rossi il merlot, per i bianchi quelle da base spumante”. (www.winenews.it)
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