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AZIENDE
E PRODOTTI
Pasta, l’Italia mantiene il primato nel mondo, con il 25% della
produzione totale
Ma la concorreza dei paesi stranieri, soprattutto sul prezzo,
si fa sentire, specialmente nei mercati emergenti. A dirlo nomi come Felicetti
(Aidepi) e Divella
Se si parla di pasta, a nessuno verrebbe in mente di mettere in discussione
il primato italiano nel mondo, sia in quantità che in qualità.
Eppure, se per ovvie ragioni il mercato del Belpaese è praticamente
impermeabile, per ora, al prodotto straniero, nel mondo la concorrenza
di altri Paesi si fa sentire sempre di più. A dirlo due nomi importanti
del settore in Italia, Riccardo Felicetti, produttore e presidente del
gruppo Pasta dell’Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce
e della Pasta Italiane aderente a Confindustria), e Francesco Divella,
imprenditore pugliese dell’omonimo pastificio che dal 1905 a oggi
è arrivato alle terza generazione.
Nonostante l’Italia mantenga la leadership di primo produttore di
pasta al mondo e nonostante l’export continui a marciare spedito,
la concorrenza di attori stranieri, soprattutto turchi e spagnoli, sui
mercati esteri mina sempre di più un settore praticamente saturo.
Ed è guerra di prezzi per conquistare gli scaffali delle grandi
catene della Gdo fuori dai confini nazionali. “C’è
una fortissima concorrenza, all’estero ci troviamo di fronte a produttori
aggressivi e forti - afferma all’Adnkronos Riccardo Felicetti -
l’Italia produce un quarto della pasta a livello mondiale ma gli
altri tre quarti sono prodotti non in Italia e la situazione è
pesantissima sui mercati emergenti dove non si cercano prodotti di alta
gamma e si deve combattere contro la concorrenza dei pastifici turchi
e spagnoli. E’ una vera e propria battaglia sui prezzi”. A
questi si aggiungono nuovi concorrenti visto che si comincia a produrre
pasta in maniera sistematica in Africa. Il rischio di “perdere identità“
per la pasta italiana dunque è reale. Le esportazioni comunque,
vanno ancora bene, nel 2012 sono aumentate del 1,8% in quantità
e del 6,8% in valore. E gli industriali del settore sentono “una
grande responsabilità” in proposito, dal momento che la pasta
è un volano per l’export agroalimentare italiano, in altre
parole, afferma Felicetti “senza la pasta non si compra il pomodoro,
l’olio di oliva e il parmigiano...”. Oltre alla competizione
sui mercati mondiali, a rappresentare un pericolo per i marchi storici
c’è anche la concorrenza interna di prodotti a marchio Gdo.
“La penetrazione della pasta in Italia è indiscutibilmente
molto alta - sostiene Felicetti - abbiamo visto stagioni molto peggiori,
però la situazione va tenuta continuamente sotto controllo a causa
dei marchi della Gdo che hanno in mano il 15% circa del mercato in termini
di valore”. Inoltre, a rendere ancora più pesante il quadro,
c’è una sostanziale mancanza di coesione interna alla filiera
e fattori esterni che, puntualmente, si scaricano sul settore come le
incognite legate alla condizioni climatiche e la carenza di materia prima,
dei cereali dovuta a scelte politiche. “L’ultima grande crisi
- spiega il presidente di Aidepi Pasta - è derivata da concause
esterne alle quali abbiamo assistito passivamente e pagato un prezzo pesante:
a cominciare dalla siccità a livello mondiale, all’uso di
cereali per i biocarburanti per arrivare a scelte di politiche alimentari
nel subcontinente asiatico e in Cina che hanno determinato una carenza
della materia prima sui mercati. A fronte di tutti questi elementi gli
speculatori finanziari se approfittano”. Dietro l’angolo ora
c’è anche il rischio di un possibile intervento militare
nella crisi siriana che potrebbe avere ripercussioni a livello politico
ed economico e sui costi delle materie prime. Le conseguenze potrebbero
essere davvero pesanti su una mono-produzione come la pasta in cui “la
dinamica dei costi è molto risicata, tanto che si può passare
facilmente dall’attivo al passivo”.
Per Francesco Divella, “la pasta è uno dei pochi settori
in Italia che non sta subendo la crisi sia per il buon andamento delle
esportazioni sia in rapporto ai consumi interni. In Italia infatti, il
consumo medio procapite è molto alto, il maggiore al mondo con
26 kg all’anno, una quantità che sale fino a 35 kg nelle
regioni del Sud. Tuttavia, uno dei problemi più sentiti è
legato alla distribuzione del prodotto e, in particolare, nel rapporto
con la Gdo che è controllata per il 70% da una decina di catene
straniere: “un punto negativo della politica italiana degli ultimi
30 anni”, commenta ancora l’imprenditore, che sottolinea come
la situazione peggiori quando si affronta il mercato estero. “Nei
130 Paesi in cui esportiamo la pasta non c’è neanche una
catena italiana ed è ancora più difficile trattare sui prezzi”.
Produrre pasta in Italia, poi, non è semplice anche perché
la materia prima scarseggia sia nelle quantità che, ha detta di
alcuni, nelle qualità. Le coltivazioni italiane infatti, riescono
a coprire il 40% del fabbisogno di grano duro per la produzione e le spighe
sono mediamente di qualità inferiori. “Da sempre il nostro
pastificio miscela diversi tipi di grano e si rifornisce da Stati Uniti,
Australia e Canada dove si coltivano i grani migliori, multiproteici,
che garantiscono un sapore migliore e una maggiore resistenza alla cottura”.
In Europa, anche la Francia è diventato “un importante granaio”
continua Divella. Ma il rovescio della medaglia è sul lato dei
prezzi, i cereali provenienti dall’estero sono più costosi
di 3-4 euro al quintale, circa 32 euro al quintale contro i 28 che si
pagano dai produttori italiani. L’ideale per gli industriali della
pasta sarebbe diminuire le percentuali di importazioni, arrivare ad acquistare
l’80% del grano in Italia e il restante 20% fuori, ma è difficile
per le resistenze degli agricoltori e anche per situazioni ataviche come
le estensioni ridotte delle superfici coltivabili dal momento che la proprietà
terriera è ancora molto spezzettata. Non da ultimo, ci sono paletti
e regole da rispettare imposti dalla Politica Agricola Comune. (www.winenews.it)
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