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AZIENDE E PRODOTTI
Il Gran Suino Padano
Il consumatore premia il made in Italy sulla carne e i primi tre mesi
sono positivi
Con un bacino di soci costituito da 1.100 allevatori e 20 macelli, per
un totale di 3 milioni di suini ed un potenziale in grado di arrivare
a 5,5 milioni di capi, il Consorzio del Gran Suino Padano ha iniziato
la prima fase di commercializzazione, supportata da una campagna pubblicitaria
a largo raggio. Il via, intorno alla prima metà di ottobre dello
scorso anno, con un finanziamento destinato al marketing di 1,94 milioni
di euro, dei quali poco più della metà concesso dal ministero
per le Politiche agricole (700mila euro), dalla Regione Lombardia (200mila
euro) e dalla Regione Emilia Romagna (150mila euro).
I risultati dei primi mesi di attività del consorzio presieduto
da Ugo Sassi, macellatore della provincia di Parma, saranno illustrati
ad Eurocarne, il Salone internazionale delle tecnologie per la lavorazione,
conservazione, refrigerazione e distribuzione delle carni in programma
a Veronafiere dal 21 al 24 maggio di quest’anno, organizzato in
collaborazione con Ipack-Ima Spa. Certo, quello che il presidente Sassi
può già anticipare con soddisfazione – tenuto anche
conto del lungo percorso impiegato per costituire il Gsp, durato qualche
anno – è che «il consumatore ha premiato la scelta
di allevatori e macellatori di fornire una carne fresca di provenienza
esclusivamente italiana, di qualità e soprattutto garantita da
disciplinari in grado di assicurare la salubrità, come quelli appunto
dei prosciutti tutelati di Parma e San Daniele».
Una delle peculiarità del Gran Suino Padano, infatti, è
che si tratta di una delle prime Dop sulla carne fresca. La prima in Europa
per volumi prodotti. Sul fronte della Denominazione di origine protetta,
tuttavia, ottenuta la protezione transitoria in Italia, proprio in questi
giorni si discuteranno a Bruxelles alcuni aspetti sollevati dall’Unione
europea. «Siamo fiduciosi – taglia corto Sassi – e pensiamo
che le osservazioni dell’Ue siano ampiamente superabili. Secondo
Bruxelles, infatti, l’area della Dop del Gran suino padano sarebbe
troppo vasta. Eppure, coincide con quella dei due prosciutti a denominazione
d’origine, Parma e San Daniele: si tratta di una zona storica».
Uno degli altri punti oggetto della disamina comunitari riguarda l’approvvigionamento
delle materie prime. «Anche in questo caso – spiega il numero
uno del Gsp – siamo in grado di garantire che oltre il 50 per cento
dei cereali introdotti nella razione alimentare dei suini è prodotta
localmente».
Insomma, la strada dovrebbe essere in discesa. Almeno sul fronte del marchio
di tutela.
Certo negli ultimi anni la suinicoltura ha vissuto crisi di mercato per
nulla trascurabili. Basti pensare, solamente nella prima metà del
2008, la corsa dei prezzi dei cereali, iniziata a metà dell’anno
precedente. «I rincari delle materie prime che hanno dovuto sopportare
i produttori di maiali, provocati da una forte speculazione – osserva
Sassi – non è stato possibile trasferirli sui ricavi, dal
momento che il ciclo di lavorazione per ottenere carne fresca e ancor
più i salumi stagionati, è molto dilatata nel tempo. Servono
almeno 9 mesi per allevare un suino e almeno 12 per stagionare un prosciutto
crudo».
Nell’attesa comunque di vedere come reagirà il mercato suinicolo
(passato da poco più di un euro per chilogrammo di carne nella
quotazione dei suini grassi da macello, fino a 1,609 dello scorso 16 ottobre
in Borsa merci a Mantova, principale piazza di riferimento nazionale,
e poi di nuovo in frenata a 1,265 nella quotazione dell’8 gennaio
2009) resta la soddisfazione per l’impatto positivo che la carne
fresca targata Gran suino padano ha avuto sui consumatori.
«Abbiamo stipulato alcune convenzioni con importanti gruppi della
grande distribuzione organizzata – riassume Sassi – fra cui
anche Coop Italia, che ha inserito le vaschette con la carne del Gran
suino padano nel 40 per cento dei propri punti vendita. Inoltre, per il
lancio sui banchi della gdo non è stata fatta alcuna campagna di
vendita sottocosto». Anzi, a dirla tutta, Ugo Sassi non nasconde
che il prezzo della carne garantita dal Gran suino padano costa mediamente
il 10 per cento in più rispetto alle altre carni suine. Questo
anche per ammortizzare il maggior costo nella produzione, quantificabile,
secondo le stime del Gsp, in un 15 per cento in più rispetto alla
concorrente carne estera.
«I risultati sono stati altamente lusinghieri – osserva –
con un aumento dei consumi della nostra carne compreso fra il 4 e l’8
per cento, anche quando è scoppiato il caso della carne suina alla
diossina, proveniente dall’Irlanda. Segno, questo, che il consumatore
ha compreso il maggior valore della produzione made in Italy ed è
disposto a pagare anche una cifra superiore. Anche in tempi economicamente
difficili, caratterizzati da una certa stagnazione, quando non recessione
dei consumi alimentari». Risultati «più che incoraggianti»
e, secondo Sassi, «inevitabili». Almeno a guardare i numeri.
«Con 10 milioni di maiali prodotti in Italia e quasi 270 milioni
allevati ogni anno nell’Unione europea – conclude –
se non avessimo finalmente concretizzato uno strumento in grado di valorizzare
la carne fresca dei suini italiani, non ci sarebbero state molte aspettative
per il futuro. Ora con questo consorzio, innovativo proprio per la sinergia
inedita fra allevatori e macellatori, possiamo ancora far fronte al mercato.
Ed ottenere soddisfazioni importanti».
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