Certe storie si giudicano da come finiscono. Altre da come iniziano, si rinnovano e si evolvono senza invecchiare mai, nel moto perpetuo di scelte visionarie capaci di sfidare il tempo e i tempi. Intrecciandosi magicamente con altre storie senza rughe. Se il Consorzio Chianti Classico copie 100 anni nel 2024, è perché trentatré produttori, nel 1924, decisero di riunirsi a Radda per difendere un vino unico, prodotto in un territorio delimitato sin dal 1716 dal Bando di Cosimo III de’ Medici, sulla base della qualità superiore delle uve ottenute in quell’areale. È proprio a partire da quell’intuizione – che sa tanto di “denominazione di origine controllata” ante litteram – che l’epopea del “Consorzio per la difesa del vino Chianti e della sua marca di origine” prese vita in Toscana.
Il 14 maggio 2024 il Consorzio Chianti Classico compie 100 anni dalla fondazione, avvenuta nel 1924 a Radda
Gente che non aveva tempo da perdere, quei trentatré visionari. Quando nel marzo 2024 un regio decreto diede il via a una nuova normativa per il settore vinicolo, istituendo tra l’altro la possibilità per le aziende di riunirsi in “Consorzi”, ci misero appena un mese per mettere nero su bianco l’atto costitutivo dell’ente che distingueva la loro produzione di Sangiovese da quella delle zone vicine. Era il 14 maggio 1924. La zona ritenuta storicamente migliore per la produzione del “Chianti” ottenne il riconoscimento ufficiale dell’aggettivo “Classico” nel 1932, ancora una volta grazie alle insistenti battaglie di quel manipolo di produttori. A metterli d’accordo, oltre alla qualità sopra la media delle uve, fu una “ricetta”.
La ricetta del Chianti Classico del Barone Ricasoli Quella del perfetto “Chianti Classico”, scoperta – anzi, messa a punto – un uomo il cui nome è inscindibilmente legato alla storia del Consorzio toscano: il Barone Bettino Ricasoli. «Mi confermai nei risultati già ottenuti nelle prime esperienze – scriveva nel 1872 – cioè che il vino (Chianti) riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canajolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli niente del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno per i vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana».
In evidenza la centralità del Sangiovese, vitigno principe della zona, e il ruolo di gregari dei vitigni comprimari. Le prime mosse del Consorzio si registrarono negli anni in cui il marketing moderno iniziava a farsi largo negli Stati Uniti. Ma, ancora una volta, fu il passato a tornare utile al futuro del Chianti Classico. Per farsi riconoscere in Italia e all’estero, i padri fondatori del Consorzio adottarono un simbolo appartenuto alla Lega militare del Chianti: il Gallo Nero. Il profilo dell’animale che campeggia tuttora sulle bottiglie del Chianti Classico è simbolo di quella visione, celebrato e riconosciuto in tutto il mondo quale sinonimo del Made in Italy.
Un’immagine da bere e da raccontare, simbolo di un’areale originariamente delimitabile “dallo Spedaluzzo fino a Greve; di lì a Panzano, con tutta la Podesteria di Radda, che contiene tre terzi, cioè Radda, Gajole e Castellina, arrivando fino al confine dello Stato di Siena”, sulla base del Bando del Granduca di Toscana Cosimo de’ Medici. Oggi gli ettari vitati superano i 71 mila e l’area di produzione è compresa tra le province di Firenze (30.400 ettari) e Siena (41.400). «È il nostro primo compleanno di 100 anni ma, soprattutto, siamo il primo Consorzio in Italia a raggiungere questo traguardo: il nostro è il Consorzio più antico d’Italia e verosimilmente possiamo vantare questo primato anche fuori dai confini nazionali”. È una Carlotta Gori che quasi si commuove, quella chiamata a ripercorrere le tappe fondamentali del Consorzio del Chianti Classico, guidato oggi da Giovanni Manetti.
Una “casa” che l’ha accolta 28 anni fa e che da 6 anni le riconosce il ruolo di direttore. «Il via libera al progetto delle unità geografiche aggiuntive (Uga) – commenta – è stato il momento più significativo nel ruolo che ricopro in Consorzio: un obiettivo centrato da tutto il consiglio di amministrazione e da tutta l’assemblea dei soci. Un avallo totale di un progetto su cui ho lavorato tecnicamente tanto, con passione e dedizione. Dei miei 28 anni di presenza in Consorzio, dovrei forse riconsiderare l’approvazione del disciplinare autonomo del 1996, a pochissimi mesi dalla mia assunzione. Ho iniziato a lavorare ad aprile in Consorzio e a settembre abbiamo ottenuto il riconoscimento della Docg separata e indipendente del Chianti Classico. Ero giovane e se ci penso adesso è un momento emozionante, mentre all’epoca forse non ero nemmeno troppo consapevole di quanto era accaduto, anche se ricordo che erano tutti particolarmente felici».
«Fuori dalla pandemia nel segno della solidarietà» E i momenti difficili? «Certamente il periodo della pandemia – spiega Carlotta Gori – per via della nube di incognite che ci ha avvolto, insieme al resto del mondo. Ma ricordo anche il nostro grande impegno, sotto lo stimolo del presidente Manetti, nel far sentire alle aziende che noi eravamo presenti e attivi nel generare idee, attenzione. Non scorderò la grande solidarietà con tutti i colleghi nell’attivarsi per confortare tutte le aziende e far capire a tutti che fossimo comunque al loro fianco: credo che questo, i soci, lo abbiamo percepito chiaramente e apprezzato».
Un’unità di intenti e, ancora una volta, di visione, che sta aiutando i produttori a navigare in acque tutto sommato tranquille, nonostante la difficile congiuntura internazionale che vede i vini rossi calare nelle preferenze dei consumatori. «Non viviamo questo trend in maniera poi così pesante – spiega il direttore Carlotta Gori – in quanto i segnali che arrivano dai nostri mercati non sono del tutto sconfortanti. C’è stata una contrazione di circa il 10% della quantità imbottigliata nel 2023 (si parla di poco più di 32 milioni di bottiglie, ndr), ma veniamo da un 2022 in cui i numeri erano davvero alti».
A confortare è soprattutto la decisa crescita del valore della produzione, certamente grazie alle iniziative della base sociale e del Consorzio. Il prezzo medio dello sfuso è pressoché raddoppiato, passando dai circa 170 euro a ettolitro del 2017 ai 340 euro attuali. Un ruolo decisivo, sui mercati, lo ha poi giocato il Chianti Classico Gran Selezione, tipologia introdotta nel 2014 e giunta nel 2024, proprio in concomitanza con i 100 anni del Consorzio, a un grado di profilazione e “lettura” ottimale da parte dei produttori. Gli iniziali “doppioni” delle Riserve hanno iniziato via, via a lasciare spazio a vini di grande carattere singolare, frutto della decisione di riservare la possibilità di menzione delle unità geografiche aggiuntive alla Gran Selezione.
«Siamo consapevoli che dobbiamo lavorare, e lavorare bene, sui nostri mercati di elezione – commenta Gori – ma siamo molto sereni perché sappiamo di aver intrapreso la strada della qualità, dell’autenticità e della territorialità della nostra produzione. Non inseguiamo il mercato, ma vogliamo che il mercato venga dietro alla nostra linea, alle nostre idee e al nostro modo di fare prodotti di qualità. Vogliamo essere coerenti nel nostro percorso di affermazione della territorialità del Chianti classico. Non per nulla la scelta di una Gran Selezione che rinuncia ai vitigni internazionali per virare su un aumento del Sangiovese e sui vitigni autoctoni, dimostra la convinzione che dobbiamo comunicare e produrre ciò che viene bene in questo territorio».
Il valore della Gran Selezione e i festeggiamenti per i 100 anni Gli stessi principi faranno da filo conduttore alle celebrazioni dei 100 anni del Consorzio Chianti Classico, in programma a maggio secondo un calendario ancora riservatissimo. «Renderemo omaggio alla visione e alla lungimiranza dei nostri trentatré padri fondatori – anticipa Carlotta Gori – che misero da parte gli interessi particolari in nome di un interesse collettivo, che era difendere, proteggere e promuovere un vino che proveniva da un areale ben definito della Toscana. La loro visione fu anche quella di legare, quasi inconsapevolmente, il prodotto a un’immagine, a un logo».
«Quel Gallo Nero che, ancora oggi – continua il direttore – ci restituisce uno strumento di comunicazione eccezionale, nella società delle immagini. Cercheremo anche di fornire elementi per interpretare il futuro, mostrando la “nostra lungimiranza”: i temi che ci stanno a cuore, oltre alla territorialità della produzione, sono la preservazione dei paesaggi e dell’ambiente. Per questo stiamo lavorando in maniera fruttuosa al percorso di candidatura a patrimonio Unesco del Paesaggio culturale del Chianti classico». Un altro tassello di una storia che si appresta a compiere 100 anni. Senza rughe.
Fonte Italia a Tavola