Il disciplinare di certificazione “Acquacoltura sostenibile” dimentica il benessere dei pesci, a partire dall’assenza di obbligo di stordimento prima della macellazione. Un nuovo report presentato oggi da Essere Animali mostra come questa pratica potrebbe incidere molto poco sui costi di produzione, anche grazie ai numerosi fondi pubblici previsti per l’acquacoltura.
Aprono il 15 febbraio le porte di Aquafarm e al centro del dibattito ci sarà il disciplinare di produzione “Acquacoltura sostenibile”, estremamente carente nell’affrontare le problematiche di benessere animale dell’acquacoltura italiana. Sviluppato dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste in collaborazione con le associazioni di settore, questo disciplinare di certificazione permetterà anche di etichettare i prodotti ittici con la dicitura “Acquacoltura sostenibile”, fuorviando potenzialmente anche le scelte dei consumatori.
Sono sempre di più le analisi di settore che dimostrano come migliorare la sostenibilità dei sistemi produttivi sia non solo un elemento imprescindibile per affrontare con successo le sfide del futuro, ma anche una delle principali spinte al cambiamento che arriverà dai consumatori. Proprio per questo è fondamentale garantire comunicazioni chiare e trasparenti, che non rischino di indurre gli acquirenti in potenziali interpretazioni fallaci delle etichette.
Nel caso degli allevamenti, uno degli elementi chiave da affrontare per una sostenibilità reale e non solo sulla carta è quello del benessere animale. Eppure nella certificazione “Acquacoltura sostenibile” non vengono affrontati gli elementi chiave che influiscono sul benessere dei pesci d’allevamento, nonostante le linee guida strategiche dell’UE per l’acquacoltura 2021-2030 trattino il benessere animale come un argomento indipendente e prioritario.
Tutte le problematiche del disciplinare promosso dal Ministero
Oltre a una generale vaghezza di molti termini che lascia troppo spazio alle interpretazioni di cosa voglia dire nella pratica di un allevamento registrare condizioni “adeguate” o “anomale”, nel disciplinare non vengono affrontati in maniera significativa parametri come la qualità dell’acqua e la disponibilità di spazio, fondamentali per il benessere animale. In tema di qualità dell’acqua, non solo sono pochi e inadeguati i parametri da rispettare (come le concentrazioni minime di ossigeno disciolto, che corrispondono a circa la metà di quelle raccomandate in letteratura), ma non c’è nessun limite da rispettare per chi alleva in vasche in mare, il sistema produttivo maggiormente diffuso nell’acquacoltura italiana. Le cose purtroppo non migliorano neanche andando ad analizzare le densità di allevamento permesse: fino a 35 kg/m3 per le trote e 40 kg/m3 per orate e spigole, entrambe corrispondenti a quei limiti identificati in letteratura come soglie a partire dalle quali i pesci manifestano comportamenti aggressivi e segni di stress. Il problema in questo caso non è solo la mancanza di spazio per muoversi e la notevole competizione per le risorse, ma siamo davanti a un problema concettuale: non si può confondere benessere animale con sopravvivenza. Il fatto, ad esempio, che sopra una certa soglia di densità i pesci inizino a diventare aggressivi, non vuol dire che subito sotto stiano bene, ma che semplicemente la loro frustrazione si manifesta in modi meno palesi che aggredire i loro simili.
La lacuna però più lampante è che, in totale antitesi con gli indirizzi di sviluppo intrapresi da normative e standard di certificazione internazionali, il disciplinare del Ministero non prevede l’obbligo di stordimento efficace prima della macellazione, di fatto non garantendo il benessere degli animali neanche durante le fasi di fine vita. Attualmente la grande maggioranza dei pesci allevati in Italia è soggetta a pratiche di abbattimento che pregiudicano gravemente il benessere di questi animali. Ad esempio, spigole e orate sono comunemente stordite tramite immersione in miscele di ghiaccio e acqua, dove, per lo shock termico, vengono immobilizzati anche se possono trascorrere fino a 40 minuti prima che perdano coscienza.
Un nuovo report dimostra che si possono innalzare gli standard di benessere animale in acquacoltura con costi esigui
Metodi di stordimento più rispettosi del benessere dei pesci esistono già e, come mostra il report prodotto da Essere Animali in collaborazione con Animal Ask, applicarli inciderebbe in maniera contenuta sul prezzo di produzione. Per le trote, l’impiego di metodi di stordimento efficaci rappresenterebbe solo il 3% del totale dei costi di produzione e porterebbe a un aumento del prezzo di produzione di 6 centesimi di €/kg. Discorso analogo anche per spigola e orata, dove ricorrere a metodi di abbattimento efficaci inciderebbe solo per l’1,2% sui costi di produzione con un aumento del prezzo di produzione di circa 6 centesimi di €/kg. Anche tenendo in considerazione gli investimenti iniziali necessari ad acquistare i macchinari, gli incrementi sul prezzo di produzione rimarrebbero comunque affrontabili (16 centesimi al chilo per le trote e 11 centesimi per orate e branzini), senza considerare che questi investimenti potrebbero essere finanziati all’interno dei 340 milioni di euro in arrivo all’acquacoltura italiana nel piano 2021-2027 della Politica comune della pesca, il cui obiettivo è proprio quello di sostenere lo sviluppo di sistemi con migliori standard di benessere animale e più valore delle produzioni.
Dichiara Elisa Bianco, responsabile dell’ufficio di Corporate Engagement di Essere Animali: “A parte le evidenti lacune durante le fasi di allevamento, è particolarmente grave che la certificazione non garantisca ai pesci neanche la riduzione della sofferenza al momento della macellazione, elemento da anni garantito alle specie terrestri e su cui esiste già un Regolamento europeo non pienamente implementato nel nostro Paese. La Commissione europea ha riconosciuto ufficialmente che i pesci d’allevamento necessitano di maggiori tutele ed è estremamente preoccupante vedere non solo che queste indicazioni sembrano non essere recepite nel disciplinare di “Acquacoltura sostenibile”, ma che questo abbia importanti ripercussioni negative sia per i pesci che per i consumatori, a cui non sono pienamente garantite informazioni chiare e trasparenti.”
Fonte Ufficio Stampa